
Dove vado al mare c’è una piccola banda di ragazzini. Avranno l’età della scuola elementare. A volte sono tre, altre volte 5 o 6. Sono capitanati da un biondino piuttosto guappo e molto simpatico. Mi nascondo dietro al libro ma non posso fare a meno di ammirarne la vitalità, la spericolatezza e, qualche volta, anche l’insolenza. Il capo guappo è trascinante. Esagera ma seduce insieme e le sue proposte sono assolutamente apprezzate. Ieri però hanno passato il limite e hanno rovesciato, senza volere, il tavolino con le bibite che una coppia aveva sotto l’ombrellone. Una elegante coppia quarantenne, apparentemente senza figli e senza particolare propensione per l’infanzia, a giudicare dai segnali dei giorni scorsi. L’uomo si è irritato, la donna si è decisamente arrabbiata e hanno fatto una ramanzina al gruppetto. Credo che la ramanzina raccogliesse anche qualcosa dei giorni precedenti perché, in fondo, non era successo niente di grave a nessuno. Ma a questo punto viene il bello. Il tavolino era stato rovesciato da una bambina che era inseguita dal capobanda. Quindi il rimprovero era per entrambi ma la ragazzina ha chiesto graziosamente scusa, ha preso il rimprovero della coppia e quello dei genitori ed è velocemente tornata di buon umore. Il capo-banda no: si è arrabbiato, ha proclamato l’ingiustizia – c’è sempre qualcosa di ingiusto in quello che succede – e si è offeso. Ho capito a quel punto che la ragazzina era sua sorella e che lui, essendo più grande, era ritenuto più responsabile dell’accaduto, anche se la maldestra era stata lei.
Comunque sia lui si è offeso ed è rimasto di cattivo umore, scorbutico e isolato, tutto il pomeriggio, mentre gli altri hanno ripreso a giocare. In una parola lui si è sentito ferito dal rimprovero mentre la sorella ha ascoltato, si è scusata e, velocemente ha lasciato andare (o se n’è fregata a seconda delle letture dei fatti). Non voglio giudicare chi ha ragione e chi ha torto: il punto è perché il ragazzino ha iper-reagito così tanto? E siccome sono psicologa e quindi tendo a vivere in un mondo psicologico credo che la ragione stia nella vergogna che ha provato. La vergogna sorge nel brusco passaggio dal piacere al rimprovero (si stavano divertendo molto), nell’esposizione al pubblico (volenti o nolenti tutti abbiamo visto l’episodio e le sue conseguenze), nella perdita di padronanza (non era riuscito a controllare la situazione) e nel perdere la posizione di potere. Quest’ultimo punto ha fatto la differenza. Il bambino guappo si sentiva un leader e lo è; la ragazzina no. L’iper-identificazione con il ruolo del leader ha aumentato la sua vergogna e la sua difficoltà a passare oltre all’episodio. In fondo assomigliamo tutti un po’ a quel piccolo guappo: abbiamo una corazza che ci protegge – la corazza del ruolo e del potere – più la corazza è forte e meglio ci sentiamo ma le corazze spesse tengono di più i segni di quelle leggere e vaporose. Quindi meglio avere corazze leggere e tenerle leggere: sennò la vergogna lascia segni troppo profondi!
Se vuoi sapere qualcosa in più su la relazione tra il corpo e la vergogna leggi questo approfondimento (Clicca sulle parole evidenziate!)
Se i bambini vivono con la vergogna,
imparano a sentirsi colpevoli.(…)Se i bambini vivono con l’accettazione,
imparano ad amare.Se i bambini vivono con la gentilezza e la considerazione,
imparano il rispetto.Se i bambini vivono con la sicurezza,
imparano ad avere fiducia in sé stessi e nel prossimo.Se i bambini vivono con la benevolenza,
imparano che il mondo è un bel posto in cui vivere. Dorothy Law Nolte
Pratica di mindfulness: Meditazione sul perdono (Meditazione registrata durante un ritiro: ci sono suoni ambientali)
© Nicoletta Cinotti 2021 Mindfulness ed emozioni