Molto del nostro senso di identità è legato alla nostra storia di vita: sappiamo cosa abbiamo fatto da bambini, da adolescenti. Cosa mangiavamo, cosa ci è successo. i nostri amori, i nostri successi e i nostri fallimenti. Ricordiamo la nostra casa e i nostri giochi. E tutto questo crea un’aspettativa – silenziosa ma persiste – su quello che ci aspettiamo da noi e dalla nostra vita.
Eppure non siamo solo la nostra storia, siamo anche un potenziale di crescita, sempre vivo e in azione. Un potenziale di crescita che rischiamo di coprire con un senso di identità troppo basato sul conosciuto e poco orientato alla realtà del presente.
Chi saremmo se non ci lasciassimo definire dalla nostra storia? Chi saremmo se non ci aspettassimo che ciò che ci piace oggi ci piacerà per tutta la vita? Chi saremmo se, invece che lasciarci definire dal filo della continuità, ci facessimo definire dal filo dell’apertura e della novità?
Cosa accadrebbe nella nostra vita se ascoltassimo le persone, senza la convinzione di sapere già cosa vogliono dire? Come sarebbero i nostri dialoghi se, invece che radicarci nel conosciuto, ci lasciassimo sorprendere dalla novità?
Le nostre storie passate possono essere una definizione limitata di chi siamo e diventare una profezia che si autoavvera. Spostare lo sguardo agli elementi di novità ci permette di cogliere la freschezza dell’esperienza del presenta, senza lasciarla ammuffire nel ristagno del passato.
Sebbene non sia possibile superare queste limitate definizioni di sé, con la consapevolezza possiamo iniziare a vederle più chiaramente, senza identificarci, per realizzare il potenziale di novità che ci aspetta. Piuttosto che aggrapparciall’autoreferenzialità, possiamo aprirci ad una consapevolezza in cui tutto è possibile. Può farci paura chiederci “Chi sarei senza la mia storia” ma può essere anche la domanda più liberante di tutte. Elisha Goldstein, Bob Stahl
Pratica di Mindfulness: La meditazione del lago
© Nicoletta Cinotti 2016 Cambiare diventando se stessi
Foto di ©zibbypillote
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