
Detto questo cosa succede quando, invece, ci ammaliamo? Come possiamo valutare la malattia e la guarigione a prescindere dalla genetica?
Cosa vuol dire salute
Forse come prima cosa dovremmo metterci d’accordo sul significato della parola salute. Non significa solo assenza di malattia. Potremmo dire che salute è quella condizione che ci permette di recuperare velocemente quando incontriamo una malattia fisica o un disagio emotivo. È la nostra salute che fa la differenza rispetto alle conseguenze che la malattia può portare con sé. Forse l’idea che salute significhi sempre e solo assenza di sintomi e assenza di dolore – fisico ed emotivo – è una visione meccanicistica che non corrisponde davvero alle nostre reali possibilità. Come cambierebbe la nostra visione dei sintomi fisici ed emotivi se considerassimo che gioia e dolore, salute e malattia non sono eventi separati ma eventi sempre presenti in concomitanza mista? Come cambierebbe la percezione della paura se un ipocondriaco considerasse che il dolore è solo un segnale e non una diagnosi? Come cambierebbe il nostro rapporto con la malattia se la considerassimo una delle possibilità e non un evento che va scacciato in tutti i modi e in ogni momento? Non diventeremmo forse più attenti alla medicina preventiva e meno indifferenti ai comportamenti a rischio?
Il dolore non è una malattia
Il dolore, fisico o emotivo, non è una malattia. Dal punto di vista emotivo il dolore è un segnale, parte di un linguaggio a cui dobbiamo attribuire significato. Forse per questo Jon Kabat-Zinn pensò di proporre il protocollo MBSR ai pazienti della clinica universitaria che avevano diagnosi di malattie non guaribili. Perché questa è una delle possibilità. A volte la malattia non è un evento guaribile, ciononostante, anche se non tutto è guaribile tutto vale la pena di essere curato.
Quando l’MBSR venne proposto ai primi gruppi di pazienti si rivolgeva a persone per le quali la medicina non aveva molto altro da offrire. Eppure, la pratica di mindfulness, così “inutile”, così scevra dalla convinzione di un risultato possibile, dimostrò la sua efficacia.
Tutto è curabile, non tutto è guaribile
La pratica di mindfulness insegnò a quelle persone, in maniera indiretta e implicita, che dolore e sofferenza non sono la stessa cosa e che “mettersi discutere con la vita”, rifiutare un evento come la malattia che è già nella nostra vita, non è detto che garantisca una migliore sopravvivenza. Entrare in dialogo con quello che è presente offre una strada: la strada dell’accettazione
Con quali vantaggi? Con il vantaggio che le risorse che verrebbero impiegate per combattere quello che è presente rimangono a disposizione del cambiamento. Perché lottare ha un costo e non sempre abbiamo la possibilità di “spendere” in quel modo la nostra energia e quando abbiamo la possibilità di scegliere non ci sono moltissime prove che un atteggiamento combattivo garantisca migliori risultati. Quando i Simonton iniziarono ad utilizzare visualizzazione, tecniche immaginative e meditazione come medicina complementare nel trattamento dei pazienti oncologici scoprirono che per molti di loro le parole “combattive” non erano adeguate e suscitavano resistenza. Anche in questo caso non sono le parole ma il linguaggio che vogliamo usare per stare nella salute e nella malattia. Per alcune persone l’idea che la malattia sia qualcosa da combattere, in un momento in cui non sentono di avere le forze per farlo, è una previsione di disfatta.
Conosciamo noi stessi solo fin dove
siamo stati messi alla prova.
Ve lo dico
dal mio cuore sconosciuto“. Wisława Szymborska
Due strade divergenti?
L’approccio combattivo o l’approccio di accettazione – sia che si tratti di dolore fisico che di dolore emotivo – comportano l’attivazione delle emozioni di due diversi sistemi emotivi. Il dolore fa parte delle emozioni del sistema difensivo, insieme alla rabbia e alla paura. Quindi da una parte è naturale che una situazione di rischio ci faccia venire rabbia e paura ma se continuiamo a sostare nelle emozioni del sistema difensivo è utile ricordare che le emozioni non sono nettamente separate: provare dolore può far accrescere la sensazione di rabbia e paura e per regolare l’intensità di queste emozioni diventa indispensabile accedere al conforto e alle emozioni del sistema affiliativo e di relazione.

In questo senso la mindfulness, così come viene insegnata nel protocollo MBSR, offre degli strumenti di base per riconoscere quello che ci fa soffrire e per distinguere la risposta al dolore dalla reattività. Insegna a distinguere il dolore per ciò che è accaduto, dalla sofferenza ossia dalla nostra avversione per quello che stiamo affrontando. Se il programma di mindful self-compassion parte dalla consapevolezza per portare l’attenzione in maniera prevalente alle emozioni del sistema affiliativo, la mindfulness del protocollo MBSR arriva in maniera implicita ad insegnare modi per amare la propria vita così com’è.
Tengo la faccia tra le mani.
No, non piango.
Tengo la faccia tra le mani
per tenere al caldo la solitudine…
due mani a proteggere,
due mani a nutrire,
due mani a impedire
alla mia rabbia di lasciarmi
nella rabbia. Thich Nhat Hanh
Da dove iniziare: il protocollo MBSR e il Programma di Mindful Self-compassion
Quando siamo nella situazione di “doverci curare”, quando nella nostra vita è entrato il dolore, sotto forma di stress, paura, malattia fisica o disagio emotivo la domanda che sorge spontanea è, “da dove inizio?”
Io rispondo sempre a me stessa, inizia “dal passo che non vuoi fare” che, quasi sempre – e non solo per me – è guardare alle cose così come sono. In questo non c’è strumento migliore della pratica di mindfulness che ci invita a guardare l’esperienza con attenzione nuda e cruda. Poi le due strade possono divergere. Possiamo lasciare che sia la consapevolezza la nostra forma di cura o il conforto. Quello che è importante è che non entriamo nella modalità “avversione”.
La modalità avversione è quella che ci fa credere che uno stato mentale sia migliore dell’altro, che dovremmo essere diversi da come siamo e, soprattutto, provare emozioni diverse da quelle che proviamo. La modalità avversione è quella che ci fa credere che ci sia un modo – semplice, immediato e sicuro – per eliminare il dolore dalla nostra vita.
Voglio essere onesta: quel metodo non c’è e chi ti dice che esiste si sta ingannando (o ti sta ingannando). Esiste un modo per stare di fronte alla nostra vita senza scappare. Come dimostrano oggi molti personaggi famosi, non siamo più nella condizione di non nominare nemmeno la parola cancro. Oggi possiamo dirlo e dirlo ci mette nel centro di quelle emozioni del sistema affiliativo che rendono la nostra vita più ricca e condivisa.
Ciononostante questi due percorsi non sono equivalenti:
- Nel protocollo MBSR l’attenzione è sull’esperienza in corso
- Nel programma di Mindful self-compassion l’attenzione è sulla persona che sta facendo l’esperienza
- Non esiste mindfulness senza heartfulness: la mindfulness invita ad aprirci alla sofferenza con la spaziosità della consapevolezza. La selfcompassion a portare gentilezza verso la persona che prova sofferenza, ossia verso di noi
Il programma MSC è modellato sulla struttura del programma MBSR, soprattutto rispetto all’apprendimento esperienziale e all’inquiring, così rispetto alla struttura (8 sessioni settimanali di due o più ore ciascuna, più una giornata intensiva). Alcune pratiche chiave del programma MBSR sono state adattate per l’MSC dando risalto alla qualità della consapevolezza (calore e gentilezza) ma molte pratiche MSC sono state pensate specificamente per coltivare compassione e autocompassione. Il programma MSC è un ibrido di mindfulness e compassione con un’enfasi sull’autocompassione. La pratica della mindfulness è il fondamento dell’autocompassione, dal momento che dobbiamo essere consapevoli che stiamo soffrendo mentre stiamo soffrendo (e non è cosa da poco) per avere una risposta compassionevole.
Fa bene alla salute essere consapevoli e compassionevoli
Entrambi questi programmi sono stati validati scientificamente. In entrambi i casi sappiamo che hanno effetti positivo sulla resilienza sulla salute fisica e sulla salute emotiva. Non sono strumenti terapeutici eppure hanno effetti terapeutici. Perché?
Perché la cura è una dotazione innata in tutte le persone ed entrambi questi programmi sostengono le nostre naturali capacità di cura. Ci ricordano che molto possiamo fare noi per noi stessi e che la cura condivisa in un contesto di gruppo ci ricorda la nostra comune condizione umana: ognuno di noi incontra la difficoltà sotto varie forme. Non siamo sbagliati perché stiamo male. Semplicemente soffriamo di una forma di dimenticanza. Non ci ricordiamo di tornare al cuore delle cose, di riportare la presenza nella nostra vita. E, soprattutto ci dimentichiamo che scappare dalle difficoltà è una buona strategia solo in rarissimi casi.
© Nicoletta Cinotti 2022 Le immagini del presente articolo sono tratte dal mio ultimo libro “Mindfulness ed emozioni” e sono protette da copyrights
Il 31 Marzo alle 21 presento in una serata gratuita il protocollo MBSR e il Programma di Mindful Self-compassion. Clicca qui per iscriverti e partecipare