
La sensazione di aver appena fatto un buon pranzo è ancora con me. Ho cucinato proprio bene oggi, per tante persone. C’è una soddisfazione particolare nell’aver fatto bene qualcosa. Un senso di sicurezza e soddisfazione che mi ricorda qualche certezza infantile. Quando pensi che l’importante sia aver fatto qualcosa. E tu, quella cosa, l’hai già fatta. Nessuna complessità: solo il piacere di avere fatto tutto.
L’errore invece si accompagna con la sensazione di dover ricominciare. Ripetere, rifare e un senso di noia minacciosa della serenità si infila subito nell’esperienza: mi fa pentire di aver sbagliato e di dover ricominciare da capo. Poco importa se ho sbagliato a fare la maionese o qualcosa di più complicato. Non posso fare a meno di considerare quell’errore tempo sprecato.
Sbagliare è tempo perso?
Se mi fermo ad ascoltare quel rimprovero mi accorgo subito che attribuisco all’aver sbagliato una intenzionalità che effettivamente non c’è. Non c’è stata una intenzione. È stato un sommarsi di fattori accompagnato dal desiderio che le cose prendessero il loro verso autonomamente. A volte a questo si accompagna la tentazione di non riconoscere l’errore e dare la responsabilità a qualche circostanza esterna. Le uova non erano fresche, l’olio era troppo freddo (o troppo caldo). Sembra che cerchi una ragione e invece dentro di me so che cerco solo una giustificazione per quell’errore che mi permetta di sentirmi un po’ più vittima e un po’ meno responsabile. È una tentazione che dura poco. il tempo necessario per ricordarmi che se ammetto di aver sbagliato, dopo, mi sento più leggera. La leggerezza della verità. Quella che ti fa essere leggera come un uccello e non come una piuma. Le piume vanno trasportate dal vento, senza scegliere una direzione. Gli uccelli, invece, hanno una direzione. Riconoscere di aver sbagliato mi lascia leggera, come se avessi dato una direzione a quell’errore che mi permette di andare avanti. A volte di imparare. A volte non c’è davvero niente da imparare. Basta solo andare avanti senza troppo soffermarsi.
Cosa c’è di sbagliato nello sbagliare?
Ci sono errori che non potevamo conoscere se non dopo averli fatti. Altri che abbiamo fatto perchè volevamo rischiare. Altri ancora che ci hanno insegnato un sacco di cose. Niente di male quindi nello sbagliare. Se non fosse per l’idea che, più diventi esperto in qualcosa, e meno dovresti sbagliare. Nel mio lavoro per esempio non dovresti più sbagliare diagnosi oppure sbagliare qualcosa nella relazione terapeutica. Magari perchè diventi troppo morbida o troppo severa. In realtà ci sono aspetti nei quali non si diventa mai davvero esperti. Ogni relazione è unica e offre sfide e difficoltà che non sono imparabili prima. Ci sarà sempre un paziente che bucherà la corazza dell’esperto, mettendolo in difficoltà. Ci sarà sempre un esperto che si rivelerà ingenuo proprio perchè si è fidato troppo della sua esperienza. Poi ci sono gli errori che non vorresti mai aver fatto perché hanno ferito gli altri. Senza accorgerti hai perso di vista quanto la situazione fosse delicata ed è il dolore dell’altro che ti segnala che qualcosa non è andato nel verso giusto. Non c’è niente di sbagliato nello sbagliare se si esclude che non vorresti mai che un tuo errore produca dolore.
Un esperto è uno che ha fatto tutti gli errori possibili nel suo campo. Niels Bohr, premio Nobel per la Fisica
Si può sbagliare nel modo giusto?
Forse la domanda può sembrare un po’ paradossale ma credo che se considerassimo normale la presenza di errori nella nostra vita, se non li considerassimo un’eccezione da non ripetere, potremmo cominciare a familiarizzarci con l’idea che sbagliare non è tutta questa tragedia. Forse il punto essenziale, nello scendere a patti con l’errore, è proprio quello di non alimentare una fiducia eccessiva nella nostra infallibilità. In qualche modo questo ci tiene attenti e mette in pace con un fatto semplice ed essenziale – fratello silenzioso dell’errore – non sappiamo tutto e, molte volte, la cosa più interessante viene proprio dal fatto di non sapere.
Alla fine ci rendiamo conto che non sapere cosa fare è altrettanto utile che sapere cosa fare. Non sapere ci impedisce di prendere direzioni sbagliate. Non sapendo cosa fare, iniziamo a prestare molta attenzione. Proprio come le persone perse nel deserto, su una scogliera o in una tormenta, prestano attenzione con una sorta di acutezza che non avrebbero se pensassero di sapere dove sono. Perché? Perché per coloro che sono veramente persi, la loro vita dipende dal prestare attenzione reale. Se pensi di sapere dove sei, smetti di guardare. David Whyte
Il punto di svolta
Quando conduco un protocollo mindfulness c’è sempre un punto di svolta. Corrisponde al momento in cui una persona si accorge che, in effetti, ci sono molte cose che credeva di sapere e che forse non sono tanto utili. E moltissime altre che, invece, scopre di non sapere. In quel momento le persone hanno bisogno di essere rassicurate. Apparentemente sono in una situazione difficile perchè è strano accorgersi di non sapere molte cose proprio su di noi, cresciuti come siamo nella convinzione di sapere più o meno tutto quello che c’è da sapere. Invece quello è un momento benedetto.
È quando non sappiamo cosa fare che inizia la vera opera. Non va corretto quel momento ma esplorato con interesse e curiosità. È il momento in cui si apre uno spiraglio impensabile e nuovo che riguarda il nostro panorama interno
La vera opera
Può darsi che proprio quando non sappiamo più cosa fare
siamo arrivati alla nostra vera opera,
e che quando non sappiamo più dove andare
siamo arrivati al nostro vero viaggio.
La mente non perplessa non si adopera.
Il torrente ostacolato è quello che canta. Wendell Berry
Quindi c’è un giusto nello sbagliato?
Quindi c’è un giusto nello sbagliato che proviene proprio dalla possibilità di 1) riconoscere di non sapere; 2) riconoscere che l’errore non è il punto di fine di un processo ma solo il punto di svolta; 3) accettare che l’errore richiede una pausa perché segna una specie di discontinuità. Ci sono emozioni legate all’errore che possono emergere in quella pausa. Può essere vergogna o imbarazzo, dispiacere o disagio. Guardarle da vicino, senza negarle, senza evitarle, è un’azione che contribuisce alla nostra salute emotiva. Non è tanto importante il fatto di sbagliare quanto cosa facciamo dopo aver fatto quell’errore. È lì che si rivela la nostra vera natura.
Chi non ha mai commesso un errore, non ha mai provato nulla di nuovo. Albert Einstein
Rimanere incastrati
A volte rimaniamo incastrati nel tentativo di dipanare la matassa che ci ha condotto a sbagliare. In queste situazioni potrebbe essere una valida alternativa quella di portare l’attenzione al corpo. E con gentilezza sciogliere quello che percepiamo teso.(Addolcire, confortarsi aprire è un’ottima pratica dedicata proprio a questo) Ci accorgeremmo che la tensione che proviamo fa parte del rimanere incastrati nei nostri errori. Una tensione che diventa serrata in particolare in alcune zone. Nelle mandibole, nel collo, nelle spalle, nell’addome. Rimanere incastrati non risolve l’errore ma prolunga la sofferenza per averlo fatto e aumenta – anche se in modo paradossale – il nostro senso di importanza. Non siamo importanti perchè facciamo bene ma diventiamo importanti perché un nostro errore lascia tante conseguenze. In realtà siamo in buona compagnia: l’evoluzione della specie si basa su errori che si rivelano più adatti all’ambiente in cui viviamo. Molte grandi scoperte nascono da fortunati errori. A volte quello che viviamo nei nostri errori è un ricordo. il ricordo di quello che ci è stato detto da bambini. La buona notizia è che adesso, che siamo grandi, possiamo sbagliare senza nessun altro rimprovero che il nostro. E, forse, anche il nostro potrebbe finalmente diventare superfluo.
Perchè alla fine, per accorgersi di un errore, abbiamo bisogno degli stessi ingredienti necessari per curarlo: gentilezza e compassione.
© Nicoletta Cinotti 2019
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