
Sono stata sempre molto curiosa rispetto al letargo. L’idea che qualcuno potesse dormire mesi – a me che una notte sembra lunga – mi è sempre apparso come un miracolo. Non sempre un miracolo desiderabile ma pur sempre un miracolo.
Ci sono però situazioni in cui l’idea del letargo non appare affatto meravigliosa: sono tutte quelle situazioni in cui ci sentiamo torpidi, annoiati, bloccati e incapaci di andare avanti come vorremmo. Ci sentiamo in letargo anche se dovremmo essere svegli. E questo non è piacevole.
Da dove nasce la sensazione di sentirsi bloccati?
La sensazione di sentirsi bloccati è una sensazione psicosomatica. Non siamo realmente bloccati ma c’è un insieme di segnali psicofisici che possono essere descritti come blocco. La sensazione caratteristica è quella di avere una percezione opaca con pochi particolari, Oppure provare paura ad andare avanti. Spesso sono sensazioni che portano ad un evitamento per non scegliere o vedere cosa sta davanti a noi. Si accompagna quasi sempre ad una riduzione della forza del desiderio. Forse i desideri ci sono ma non hanno quella spinta motivazionale che ci fa attivare per poterli realizzare. Ma cos’è che struttura questa sensazione?
La sensazione nasce proprio dalla paura di realizzare un desiderio. Per fronteggiare questa paura – che può anche essere semplicemente la paura di non riuscire a concretizzare qualcosa – finiamo per inibire il movimento attraverso una contrazione leggera ma costante. Una contrazione associata a quelle parti del corpo che avrebbero la funzione di movimento. Possono essere spalle e braccia se si tratta di un blocco che riguarda la relazione affettiva. Oppure gambe e bacino se si tratta del procedere in una situazione di maggiore autonomia.
E lei ora desidera. È uscito del letargo della sua rassegnata solitudine, ha scoperto la fame del suo cuore, sa che la mela è proibita, ma desidera. Stefano Benni
Quando parliamo di blocco in bioenergetica?
In bioenergetica la parola blocco è una delle parole più usate. Nella impostazione reichiana, da cui la bioenergetica deriva, tutti noi abbiamo 7 blocchi che costruiscono la nostra armatura caratteriale. Questi blocchi sono sempre latitudinali, circolari al corpo, perché hanno una origine somatica ma non devono impedire la funzionalità fisiologica del corpo. Quando parliamo di blocco oculare, solo per fare un esempio, non significa che la persona non riesce a vedere fisicamente ma che la sua lucidità percettiva è offuscata in condizioni emotivamente intense o emotivamente evocative di situazioni del passato.
Il blocco è centrale anche per un’altra ragione. Perché ha la funzione di ri-attualizzare il passato. Non ricordiamo i nostri eventi difficili solo attraverso la memoria e il ricordo. La memoria e il ricordo spesso sono attivati da una configurazione fisica che rende attuali certe sensazioni. Per questa ragione a volte possono emergere ricordi apparentemente staccati dalla realtà: perchè qualcosa ha destato una sensazione corporea congruente a quella situazione passata.
[box] Ogni volta che parliamo di blocco quindi parliamo di qualcosa accaduto nel passato che ha un effetto sul presente[/box]
Ci sono emozioni che bloccano?
Ogni volta che c’è un blocco fisico sperimentiamo una sensazione inibitoria che ha i diversi gradi e le diverse sfumature di un’emozione: la vergogna. In bioenergetica la vergogna è un’emozione che esprime, prima di tutto, la paura ad esporsi, a lasciare che la propria spontaneità si esprima. Non è una sensazione quindi insolita e può essere vissuta a qualsiasi età, anche molto prima che si sviluppi la consapevolezza che ci sono dei giudizi che gli altri possono avere su di noi.
La vergogna primaria è la sensazione di disagio che proviamo rispetto all’essere come siamo. Esattamente come siamo. I movimenti espressivi vengono così bloccati e la nostra creatività risulta ridotta. Non è tanto una vergogna perché temiamo il giudizio altrui ma piuttosto perché temiamo di fare qualcosa e di scoprire che non ne siamo capaci. Questo costruisce un substrato di inibizione, spesso vissuto solo intimamente. A rendere le cose ancora più complesse gli altri possono vedere le nostre capacità, ammirarci e ammirare tutte le cose che sappiamo fare e, contemporaneamente, noi possiamo vivere una sensazione dolorosa di inibizione e incapacità che non corrisponde affatto all’impressione che diamo all’esterno. Si tratta di quella che metaforicamente potremmo definire la sindrome dell’impostore.
[box] L’inibizione è necessaria per essere socialmente accettabili ma può essere la base della nostra sensazione di blocco[/box]
Il circolo vizioso
Questa condizione può innescare un circolo vizioso. L’inibizione diminuisce la nostra creatività e meno siamo creativi e più ci sentiamo bloccati. Questo capita anche a chi ha grandi qualità artistiche che può realizzare in un’area limitata della sua vita e rimanere contemporaneamente in contatto con una sensazione inibitoria. Viene subito la voglia di correre ai ripari per spezzare questo circolo vizioso. Come farlo?
- Mettere in campo il movimento è il primo passo. La mente alimenta le sensazioni di inadeguatezza. Fare pace con le nostre caratteristiche e sperimentare più sensazioni fisiche e meno pensieri rende più forte il movimento verso l’esterno. Il movimento espressivo. Detto in altre parole essere sedentari non aiuta perché è già, in sé e per sé, una specie di blocco.
- Sciogliere i blocchi fisici della nostra armatura . Se riacquistiamo fiducia nel corpo è anche importante iniziare ad aprire, a lasciar andare quelle tensioni che chiudono la nostra spontaneità.
- Trovare un modo per familiarizzare con l’errore. L’errore suscita vergogna e, per questa ragione, può essere causa e conseguenza di inibizione. Trovare dei modi per familiarizzarsi con l’errore, renderlo comico, mostrarlo senza troppi veli, può aiutare.
Fatti questi tre passi è importante un ulteriore passaggio: quali sono le emozioni che ci mettono in una condizione di blocco? Il blocco infatti è anche espressione di una delle tre difese neuro-fisiologiche di base: attacco, fuga e freezing. Il blocco riguarda la sensazione di freezing, di congelamento. Sono risposte che si attivano automaticamente. Incominciare, durante la nostra vita quotidiana, a registrare quando ci sentiamo congelati, può permetterci di fare una mappa delle emozioni e, soprattutto, una mappa delle risposte corporee collegate. E ogni volta che riusciamo a fare questa associazione corpo -emozione possiamo ammorbidire la difesa, per esempio con lo spazio di respiro di tre minuti. Una pratica breve, che può essere condotta anche ad occhi aperti e che evita l’effetto cumulativo del blocco. Perché non ci blocchiamo tutti insieme: ci blocchiamo a gradi, per gocce progressive di tensione.
La riflessione dell’inverno
Non tutto è attivo. È fisiologico attraversare periodi di riposo, proprio come succede con la terra in inverno (ammesso che il cambiamento climatico ci conceda ancora inverni!). Esiste un blocco quindi che non arriva perché siamo inibiti ma perché siamo stati troppo attivi. In questo caso è utile concedersi un po’ di riposo e stare in quello che è il processo fisiologico del riposo: la riflessione.
Il processo della riflessione è un processo lento, che richiede immobilità. Se siamo troppo tristi però questa immobilità può facilmente trasformarsi in ristagno e in blocco.
Il processo della riflessione ha tre fasi: la prima fase è il riconoscimento del proprio vissuto. Il secondo è il riconoscimento dei propri meccanismi difensivi. E, infine, il terzo è l’emergere del significato della propria vita, della propria esperienza. L’emergere del significato è anche quello che fornisce la spinta all’azione. È solo se abbiamo permesso che un significato emergesse che l’azione successiva ha senso e ci permette di comprendere quai azioni sono utili e quali azioni, invece, sono una dissipazione dell’energia e delle risorse.
Se non vuoi rimanere bloccato, cerca il significato di quello che ti accade. Questo è il vero salvacondotto: non sforzarsi ma comprendere. Senza significato infatti il nostro muoverci rischia di perdere scopo e direzione.
[box] Il processo della riflessione ha tre fasi: il riconoscimento che significa penetrare nel proprio vissuto. L’ammissione dei propri film che significa riconoscere i propri meccanismi di difesa e la rivoluzione, quando riusciamo a cambiare il significato della nostra esperienza. Brenè Brown[/box]
© Nicoletta Cinotti 2019 Photo by Lance Anderson on Unsplash
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