
C’è un silenzio che mi colpisce sempre profondamente. È il silenzio che entra nella stanza quando qualcuno tocca il luogo del proprio dolore. È come se tutti i suoni venissero risucchiati dal una specie di buco nero.
Ho provato tante volte quel silenzio. È un silenzio che sembra non trovare parole. È il silenzio di quando la contrazione del corpo è così profonda che assorbe tutte le energie.
Cosa fare di fronte a quel silenzio? Come raggiungere quel dolore? L’unico modo che ho trovato è onorare quel silenzio e poi lasciare che fioriscano poche parole perchè ci sono luoghi che non possiamo raggiungere con le mani, con gli abbracci. Ci sono luoghi che possono riaprirsi di nuovo solo quando qualcuno pronuncia la parola giusta. E la parola giusta è quella che unisce affetto e rispetto e mette insieme quell’ascolto che avremmo tanto voluto trovare e che non c’è stato.
Ecco perchè abbiamo bisogno del lavoro corporeo, ecco perchè da solo non basta. Abbiamo bisogno del lavoro corporeo perchè i nostri luoghi dolorosi e i nostri segreti sono serrati dalla tensione muscolare che diventa come una porta serrata sullo scrigno delle emozioni. O come una corazza dietro alla quale ci nascondiamo. O come una maschera.
Poi però, per fidarci di nuovo, abbiamo bisogno che il nostro silenzio venga ascoltato. Perchè, a volte, il silenzio parla ad un volume molto più alto di mille parole. Se quel silenzio non viene ascoltato diventa un segreto e i segreti minano la fiducia. In noi e negli altri.
Trasformare quel silenzio in parole è passare dalla morte alla vita: una rinascita possibile ogni giorno.
Nel corso della terapia si scoprono e si rivelano molte esperienze dimenticate che sono parti nascoste del sé. Rivivere l’esperienza a livello corporeo la rende convincente in modo irraggiungibile per altre vie. Ma il fatto di parlarne a un altro dà all’esperienza una realtà che solo le parole possono fornire. Alexander Lowen
Pratica del giorno: La classe del mattino
© Nicoletta Cinotti 2018 A scuola di grazia e non di perfezione
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