Anche se viviamo con noi stessi da tutta la vita, spesso non possiamo dire di conoscerci bene. In parte accade perché esercitiamo la funzione della conoscenza più verso l’esterno che verso l’interno. In parte perché evitiamo di esplorare quegli aspetti di noi che non ci piacciono, perché ci procurano dolore o perché ci imbarazzano.
L’effetto di questo evitamento è duplice: da una parte riduce l’intimità con noi stessi, dall’altra produce una sorta di paura nei confronti di quello che abbiamo evitato.
Così ogni volta che ci fermiamo per praticare – che sia lavoro corporeo o meditazione formale o informale – facciamo un passo verso una maggiore confidenza nei confronti di noi stessi.
Esercitiamo la conoscenza non verso il mondo interno ma verso il mondo esterno. E gradualmente sviluppiamo una qualità dell’anima che è anche un’emozione: il coraggio.
La gradualità è importante in questo caso, perché può essere un processo lento, con molte soste. Progressivamente però ci ritroviamo ad avere il coraggio di guardare le nostre aree oscure e, soprattutto, il coraggio di essere noi stessi.
Sopprimere le sensazioni è un processo mortifero che diminuisce la pulsazione interna, la vitalità e l’eccitazione. Per questo se sopprimiamo un’emozione, qualche modo sopprimiamo tutte le altre perché ne riduciamo la vitalità. A. Lowen
Pratica del giorno: La meditazione del lago
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