
Mi ritengo una gaffeur. Ho un lungo curriculum di gaffe che, anche a distanza di anni, mi suscitano ancora imbarazzo. La più storica l’ho fatta con Alexander Lowen in persona. Eravamo a casa sua, un piccolissimo gruppo di colleghi, per un seminario dedicato. E ad un certo punto, vedendolo lavorare con una collega gli chiesi, “Ma perché le ferite emotive non rimarginano da sole come quelle fisiche?”. Cadde il silenzio. Mi immaginai per un attimo che sarei stata messa insieme alle galline (Lowen aveva delle galline nel suo giardino che curava teneramente) e che avevo fatto l’unica domanda che, da psicologa, non avrei dovuto fare. Eppure era una domanda che mi affliggeva da tempo.
Comunque lui mi guardò, sorridendo, e disse, “È colpa delle difese e della profondità della ferita. Se la ferita è profonda ci vogliono dei punti di sutura anche per quelle fisiche. Comunque le nostre difese interferiscono con la cicatrizzazione naturale”. Stavo per fare un’altra domanda ma 8 paia di occhi mi suggerirono che il silenzio era la scelta migliore.
La domanda in realtà dentro di me è rimasta. In parte, negli anni, ho trovato delle risposte. Le persone con un attaccamento disorganizzato “cicatrizzano” peggio i traumi di quelle che hanno relazioni affettive stabili e sicure e spesso le nostre difese sono delle profezie che si auto-avverano. La risposta conclusiva però l’ho trovata molti anni dopo, grazie a Pema Chodron. Pema Chodron, insegnante americana famosissima, propone il Tonglen, una pratica di apertura del cuore che, fino a non molti anni fa, era coperta da un segreto iniziatico. Nella pratica, alla fine, c’è un passaggio che per me è stato fondamentale. Concludendo la pratica Pema invita a riconoscere che questo stesso nostro problema, questa stessa nostra difficoltà, non è solo nostra. Proprio ora, nel mondo, molte altre persone soffrono la stessa pena, hanno lo stesso problema, si confrontano con le stesse asperità della vita. Questo passaggio per me è stato salvifico. Mi sono accorta che, quando qualcosa mi fa soffrire, accade una specie di distorsione percettiva come se tutto il mondo fosse felice, meno io. Io, incapace di felicità. Aprire il cuore è anche questo: riconoscere che il nostro dolore non è speciale ma condiviso. Così ho capito anche un’altra cosa: mi vergogno del dolore. Mi vergogno di stare male, come se, siccome sei psicologa, dovessi avere sempre uno stato continuo di felicità senza esagerazione. È ufficiale: anche gli psicologi piangono!
Per molte persone la vergogna delle difficoltà è fortissima. I panni sporchi si lavano in famiglia non si riferisce solo a quello che potrebbe avere risonanze morali. È la difficoltà, il dolore che è considerato “sporco”. Come se solo la felicità fosse pulita e mostrabile! A volte le gaffe sono provvidenziali:-)
Pratica di mindfulness: Self compassion breathing
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