Quando si scrive una recensione si dovrebbe essere, in qualche modo, lettori imparziali. Così dichiaro – fin dall’inizio – che non lo sarò. Faccio ammenda dei tanti motivi per cui non riuscirò ad essere imparziale, così potrete decidere da subito se continuare la lettura.
Non sarò imparziale perché amo l’anatomia. Nella mia formazione come analista bioenergetica – si parla di molti anni fa – parlare di anatomia sembrava incorrere in una sorta di blasfemia. La bioenergetica non si occupa degli aspetti funzionali ma degli aspetti emotivi – tuonavano i miei insegnanti. Sì, però almeno sapere cos’è il pavimento pelvico e come influenza la posizione del bacino. Oppure dove si trova l’ileopsoas sarebbe utile, pensavo dentro di me. Un’idea che non era solitaria tanto che, in anni più recenti, le lezioni di Anatomia esperenziale hanno dato la possibilità di approfondire non solo l’esperienza ma anche la teoria. Questo libro colma definitivamente – spero – un vuoto che andava colmato. Spero che il passaggio successivo sarà sdoganare le neuroscienze. Sì, perché noi bioenergetici che – da veri antesignani – le abbiamo praticate ante litteram, ne parliamo con circospezione come se togliessero poesia alla clinica.
Perché la bioenergetica classica non si è occupata dell’anatomia?
In realtà non bisogna dimenticare due elementi della formazione di Lowen per comprendere che questa affermazione è in parte vera e in parte sbagliata. Lowen, prima ancora che essere laureato in medicina era laureato in Educazione fisica. Era un vero sportivo praticante, appassionato del movimento connesso all’anatomia e al benessere. Questo spiega il ruolo centrale che hanno avuto le classi d’esercizi bioenergetici nella sua storia professionale. Non contento di questa preparazione di base – che comunque non era sufficiente per esercitare la psicoterapia – ha sentito la necessità di laurearsi anche in medicina. Cosa che ha fatto attorno ai 40 anni. Una scelta matura quindi. Lowen perciò conosceva bene anatomia e fisiologia del corpo umano.
Ciononostante nei suoi libri non dedica un rilievo particolare agli aspetto anatomo -fisiologici. Perché? Per una ragione semplice: i blocchi muscolari non seguono la struttura longitudinale del muscolo ma latitudinale. Questo ha due motivazioni principali: la prima è che il blocco muscolare ha lo scopo di fermare, reprimere, contenere l’aspetto espressivo ma di lasciare intatto l’aspetto funzionale. Nessun blocco del cingolo scapolare – giusto per fare un esempio – blocca il movimento delle braccia (tranne forse nelle patologie isteriche che sono, però, scomparse). Nessun blocco del diaframma ferma il respiro. Il secondo è che il linguaggio del corpo è il linguaggio delle emozioni: quello che cerchiamo, nella lettura del corpo, è l’emozione che viene tagliata fuori dalla coscienza. Che sia attraverso la tensione o che sia attraverso il collasso – cosa che comporta diverse cariche energetiche e diverse qualità di risposta corporee – per curare abbiamo bisogno di sviluppare sensibilità nei confronti dell’emozione tagliata fuori dalla coscienza.
Ecco perché ci siamo occupati poco d’anatomia…
Ecco perché ci siamo occupati poco d’anatomia…non volevamo che gli aspetti strutturali coprissero l’oggetto primario – emotivo – di indagine. Oggi siamo sufficientemente maturi per correre questo rischio e, perché no, dialogare con chi si occupa del corpo e curandolo scopre miniere emotive come gli osteopati, i chinesiologi, i posturologi, i fisiatri (e se mi sono dimenticata qualcuno mi scuso!).
Riprendiamo con le ragioni dell’affetto
Detto questo non sarò imparziale perché l’autrice – Elizabeth Michel – fa due affermazioni personali che mi sono molto care. Ve le riporto con qualche commento.
[box] Se quando iniziate il training di bioenergetica avete una conoscenza minima di anatomia e allineamento, prendete in considerazione la possibilità di includere per un po’ delle lezioni di Yoga Iyengar nei vostri esercizi di routine[/box]
Così Elizabeth introduce, con leggerezza, il tema della relazione tra yoga e bioenergetica. Non sono la stessa cosa anche se molti esercizi di bioenergetica sono simili allo yoga e seguono l’idea che l’aspetto fondamentale sia l’allungamento del respiro. Ciononostante è importante conoscere l’uno per comprendere l’altro: anche se il lavoro corporeo è diverso, il modo di vedere il corpo è unitario. (Se hai voglia di scoprire qualcosa in più su questo argomento ti consiglio di partecipare alla conferenza Open “Che differenza c’è tra lo yoga e la bioenergetica” Clicca sul titolo per iscriverti!)
La seconda affermazione amabile per me è la seguente:
[box] Scrivere questo manuale è una cosa; viverla così profondamente da poter guarire dalla depressione è completamente un’altra.[/box]
Anche qui Elizabeth affronta con leggerezza un tema: studiare è possibile se sei un po’ depresso. Ma se sei un po’ depresso lo studio rischia di diventare qualcosa dentro cui rimani imprigionato. Coniugare passione, studio e non depressione è una bella sfida. Molto bioenergetica visto che uno dei libri fondamentali di Lowen si intitola “La depressione e il corpo”.
Detto questo, se te la senti di entrare in una recensione così personale e affettuosa, sei il benvenuto!
L’allineamento
Il criterio anatomico che segue la Michel è quello dell’allineamento. Riprende la posizione di Ida Rolf – di cui riporta anche delle immagini classiche – e si domanda che cosa ci fa perdere l’allineamento, come possiamo lavorare per ritrovarlo e, in che modo, nelle diverse strutture caratteriali, questo allineamento è perduto. È un criterio che rispetta i presupposti del Rolfing, pur mantenendo una prospettiva psicoterapica e non fisiatrica. L’allineamento è visto come realizzazione della fluidità del corpo e l’effetto dello scioglimento dei blocchi e delle tensioni.
[box] In bioenergetica, preferiamo parlare di allineamento naturale, piuttosto che ideale. Dal momento che ogni persona nasce con un corpo unico e matura in un ambiente unico, per ogni individuo ci sarà una disposizione unica ideale delle ossa con cui il corpo può operare. Elizabeth Mitchell[/box]
I blocchi sono le contrazioni croniche dei muscoli, ostacoli ad un movimento naturale eretti a protezione del sentire. Trattengono un movimento che sarebbe espressivo dell’emozione repressa. Modif
icano il nostro allineamento, sia perché tendono il corpo che perché lo collassano ma, in ogni caso, nel trattamento non ricerchiamo un allineamento ideale ma quello reale, possibile per quella specifica persona.
La scelta dell’allineamento e la struttura fasciale
Ci sono due tipi di tessuto nei muscoli: il sistema fasciale e la componente contrattile (Si dice che Bolt – l’olimpionico che ci ha fatto sognare – abbia una componente contrattile superiore all’80% mentre comunemente la componente contrattile è del 50%). Il sistema fasciale è il materiale che circonda ogni fascio di fibre muscolati e va a costituire i tendini che collegano il muscolo all’osso. La componente contrattile è formata da fibre lunghe e strette e innervata da cellule nervose che ricevono l’impulso e lo fanno passare – attraverso la pompa sodio potassio e attraverso due catene proteiche delle fibre – lungo ogni cellula e da una cellula all’altra.
L’anatomia bioenergetica si occupa prevalentemente del sistema fasciale perché il blocco muscolare riduce la capacità delle fasce di scorrere e di dare un movimento fluido. Inoltre, poiché nessun muscolo è un’isola (citazione dal testo) il funzionamento di una parte si riverbera su tutto il corpo per cui, per esempio, se un muscolo è contratto, questo vorrà dire che il suo antagonista muscolare è debole e l’allineamento porterà i segni di questo squilibrio.
La questione energetica
Ovviamente se si è estranei all’area bioenergetica l’argomento dell’energia del corpo, dei caratteri a bassa e ad alta carica può sembrare teorico e lontano. Non è però un argomento superficiale perché riguarda gli aspetti diagnostici e di trattamento. Elizabeth Michel esce dalla questione in due modi: da una parte riprende la divisione in caratteri ad alta carica (masochista, psicopatico, narcisista, rigido) e a bassa carica (schizoide e orale) che è quella della bioenergetica più tradizionale. Dall’altra ammette che ci sono categorie diagnostiche – come il carattere borderline – che sono fuori dai nostri criteri tradizionali. Per questa ragione propone che – ogni carattere – possa essere in un continuum che va dalla nevrosi alla psicosi, attraversando il carattere borderline, inteso come territorio di confine tra nevrosi e psicosi. Io sarei dell’avviso di fare la stessa cosa anche per la carica energetica dei caratteri. Ho conosciuto caratteri orali e schizoidi attivi e pieni di energia (e non solo iperattivi per non sentire). Masochisti pigri e refrattari al movimento. Psicopatici poco in grado di concretizzare le loro azioni. Mi sembra che il concetto di energia sia molto influenzato da fattori fisici, mentali, costituzionali e familiari, che formano un mix troppo complesso perché sia possibile identificare il carattere orale e schizoide come un carattere a bassa carica. Possiamo dire che ogni carattere può avere manifestazioni che vanno da un aspetto nevrotico, fino ad uno psicotico e che, ogni carattere, può avere una carica energetica determinata da diverse componenti. La rigidità – quando è estrema – diventa un tratto ossessivo compulsivo che blocca la maturazione personale limitandola al controllo dei sintomi e rendendo quindi il carattere rigido (che dovrebbe essere ad alta carica) poco produttivo e molto autolimitante.
L’anatomia dei caratteri
Il libro prosegue dando prima attenzione alle singole strutture del corpo e poi a come i blocchi si organizzano nelle diverse strutture caratteriali.
È preciso, puntuale nella sua visione anatomica. Utile non solo per i bioenergetici ma per tutti coloro che lavorano, in maniera integrata, sul corpo. Forse sentivamo tutti la mancanza di un lavoro così ben organizzato di anatomia emotiva. Nello stesso tempo è un lavoro classico: la Mitchell segue la diagnostica caratteriale loweniana, con tutte le avvertenze del caso: nessuno è un carattere puro. Non aggiunge né toglie nulla al pensiero bioenergetico classico. E questo, credo, sarà la fortuna di questo volume! E, forse anche il suo limite.
Un limite che riguarda la crescita di un approccio clinico (e non solo della bioenergetica). Un approccio clinico cresce se cambia. La bioenergetica è nata alla fine degli anni ’50. Ha quindi una sessantina d’anni. In campo clinico sessant’anni sono tanti. E, soprattutto, questo mezzo secolo ha disegnato un tale avanzamento nelle scienze della mente e nelle neuroscienze da essere davvero definibile come un’era molto feconda.
Solo chi riesce a stare nel flusso del cambiamento può dirsi vivo e vitale. Chi continua a reclamare solo la fedeltà alle origini come tratto salvifico della propria storia rischia di finire come i dinosauri. Un meraviglioso insieme di animali – scomparso!
Detto questo è davvero d’uopo un ringraziamento a Elizabeth Mitchell e a Maria Rosaria Filoni che ne ha curato la traduzione italiana, sotto l’egida della Società Italiana di Analisi Bioenergetica. È sicuramente un tentativo di crescita quello che ci troviamo davanti con questo libro.
Elizabeth Michel, L’emozione e la forma, Franco Angeli Ed.(Su Amazon è disponibile, come al solito, anche un estratto del libro)
Se il tema dell’anatomia emozionale ti interessa la prossima settimana recensirò
David Coulter,Anatomy of Hatha Yoga. A manual for student, teachers and practitioners. Un vero gioiello!
(Su Amazon è disponibile, come al solito, anche un estratto del libro)
© Nicoletta Cinotti 2016
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