
Quando iniziamo qualcosa di nuovo o meglio quando cerchiamo di curare qualcosa di vecchio, magari qualcosa che nel tempo è diventato cronico, incontriamo due nemici. Il nemico più distante è quello della fiducia in chi dovrebbe aiutarci. Ci domandiamo se sia capace abbastanza, bravo abbastanza, buono abbastanza. È normale provare questi pensieri e questi sentimenti: in fondo affidiamo una parte di noi a qualcuno che magari conosciamo solo superficialmente.
Il vero “nemico” il nemico più vicino però è quello che abbiamo dentro di noi. Quella voce insistente che ci dice che non abbiamo speranze, che tanto vale nemmeno provare. È una voce che ci “taglia le gambe” anche se, in alcuni momenti può sembrarci l’unico appiglio e l’unica strategia per uscire dalla situazione che stiamo vivendo. C’è un attimo in cui, sappiamo bene che rinunciare ci darebbe sollievo e ci toglierebbe dall’incertezza. Non correremmo nessun rischio, non ci daremmo nessuna opportunità di miglioramento ma nemmeno correremmo il rischio della delusione e del fallimento.
La voce della rinuncia è ambivalente: sappiamo che tante volte rinunciare può essere stato utile, può averci salvato. Come fare a distinguere quando vale la pena rinunciare e quando invece vale la pena provare, al di là delle difficoltà? Io cerco di darmi dei criteri che vorrei condividere con te.
Il primo criterio è quello della stabilità. Se questa voce mi promette una stabilità tombale, senza prospettive, non mi fido. So che prima o poi mi sentirò soffocare e avrò bisogno di provare ancora e allora si ripeterà il dubbio amletico: provo o rinuncio? Quindi tanto vale provare fino in fondo. I conti si tirano alla fine. Solo alla fine di qualcosa potremo sapere se ci è stato utile. Meglio ancora se facciamo passare del tempo prima di giudicare perchè molti di noi, io per prima, siamo diesel. Ci mettiamo un po’ per accorgerci dei cambiamenti.
Se questa voce nasce da un senso di sfiducia nei confronti delle mie possibilità non l’ascolto. Io stessa sono l’unico serio investimento sul futuro che posso fare. Se penso che non ci sia davvero da investire su di me è come se dicessi che la mia vita è finita.
Se la voce della rinuncia ha le caratteristiche dell’oracolo che predice il futuro non ci credo. Il futuro lo scegliamo in ogni momento, con piccole variazioni, molte delle quali sfuggono al nostro controllo. Non c’è nessuno che può stabilmente prevedere il futuro: ci sono troppe variabili. Al massimo possiamo fare una statistica come dice la legge dell’indeterminazione (questa non te la spiego perché è piuttosto controversa anche se geniale).
Infine guardo in faccia la voce della rinuncia. La mia ha un volto ben preciso e definito. La guardo dritto negli occhi e le chiedo, “Di cosa hai paura”? E spesso lei non resiste alla mia sincera determinazione e mi racconta tutte le paure che stanno dietro alle sue previsioni. Allora, l’abbraccio e ce ne andiamo per il mondo insieme, con la nostra incertezza: non sapere come sarà il domani è una verità che lascia aperta ogni possibilità. Una verità così grande che non ha nemmeno bisogno di scomodare la parola speranza.
Un’innocenza infinita…non sapere. John O’ Donohue
Pratica di mindfulness: Self compassion breathing
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