
Mi succede molto frequentemente di parlare con persone che hanno subito un danno, un abuso, un torto. Purtroppo sono eventi che possono accadere. C’è qualcosa, in queste situazioni, che mi colpisce sempre molto: prima o poi chi è stato vittima di un danno provocato dal comportamento altrui finisce per cadere nel rivolo del senso di colpa. Prima o poi sostituisce il sentirsi vittima con il sentirsi inadeguat*, ingenu*, apallic*, priv* di tempra (metto l’asterisco perché non trovo soluzioni all’uso estensivo del maschile come neutro). È un passaggio che avviene tanto più rapidamente quanto più la persona è orgogliosa ed è un modo per tirarsi fuori dall’identificazione con la vittima. Un modo pericoloso perché finiamo per attaccarci proprio nel momento in cui avremmo bisogno di tutte le nostre forze e di tutte le nostre risorse per affrontare le difficoltà. Non è colpa nostra se abbiamo incontrato un problema. Non è colpa nostra se ci hanno frodato, abusato eppure, alla fine, la rabbia nei confronti del “carnefice” si accompagna alla rabbia nei confronti di noi stessi. Perché non abbiamo capito prima, non ci siamo difesi meglio, perché ci siamo fatti trovare impreparati. Non riusciamo a dirci che le cose sono andate in modo non prevedibile e ci rimproveriamo per riprendere il controllo sugli eventi: non è un bel modo. È un sistema che sottrae risorse e diminuisce la fiducia nei nostri confronti. Ci attacchiamo in modo che nessun altro possa rimproverarci: abbiamo già fatto tutto noi.
All’opposto ci sono persone che maturano invece un atteggiamento vittimistico: è sempre colpa degli altri e loro non hanno mai alcuna responsabilità. Forse lo fanno perché non tollerano l’idea di poter sbagliare ma anche loro non si fanno un regalo: costruiscono una nozione di impotenza associata alla loro persona. In termine tecnico si dice che le prime persone hanno un locus of control interno e la seconda tipologia di persona ha un locus of control esterno. Gli estremi sono comunque dannosi: non siamo sempre responsabili e non è vero che non siamo mai responsabili. A volte la responsabilità è da condividere. A volte dovremmo dire che siamo state vittime e non aver paura di dirlo. Non ci facciamo brutta figura e non è cosa di cui vergognarsi. Ah, la vergogna, che brutta consigliera!
Ma avere un cuore da bambino non è una vergogna. È un onore.(…)Ma non gli si deve dire come un rimprovero che ha conservato un cuore da bambino, un’onestà da bambino, una freschezza e una nobiltà da bambino. Ernest Hemingway, Vero all’alba (pubblicato postumo nel 1999)
Pratica di mindfulness: Self compassion breathing
© Nicoletta Cinotti 2021 Mindfulness ed emozioni