
Ieri mi è stata raccontata una bellissima storia, da una musicista. Lei suona l’arpa e le era appena arrivata un’arpa nuova, quei grandi strumenti che sono usati dagli angeli (così dicono) e molto anche nella musica celtica.
Essendo nuova mi spiegava che va accordata ripetutamente fino a che non trova il suo assetto più stabile. Così i primi tempi, più che suonarla in senso vero e proprio, si passa del tempo ad accordarla e a prendere confidenza con lo strumento proprio attraverso l’accordatura ripetuta.
Una volta superata questa fase lo strumento, che è vivo perché di legno, cambia suono a seconda di quanto lo usi. Più lo suoni è più il suono diventa bello e pieno. Questo, mi spiegava, è vero per tutti gli strumenti fatti con materiali vivi che risentono della prolungata inattività.
Mentre mi raccontava queste cose e mi parlava della sua arpa, il suo viso si illuminava di piacere e della gioia sottile che evidentemente era legata al nuovo strumento. Allora, mi sono detta che certo, il suo strumento era, per lei, vivo. Non era uno strumento prodotto per suonare. Era molto di più. Era come se fosse una persona, un amico con cui intessere un dialogo quotidiano di reciproca conoscenza.
Mi è tornato alla mente lo stupore che avevo provato la prima volta che durante una meditazione camminata avevo sentito Thich Nhat Hanh dire, “cammina come se i tuoi piedi baciassero la terra perché la terra è viva e ti sostiene generosamente” (citazione a memoria). Mi ero commossa perché non avevo mai realizzato che la terra è viva, che non poggio i piedi su un oggetto inanimato ma su qualcosa di vitale e in trasformazione.
Come sarebbe la nostra vita se considerassimo gli oggetti vivi? Come sarebbe se sentissimo che, invece che stare in mezzo ad un mondo animato solo dalle persone e dagli animali, ci rendessimo conto che tutto il mondo che ci circonda è vivo, di diversa forma di vitalità? sarebbe un bel modo per trasformare il nostro consumismo in un atto di rispetto. Capisco Marie Kondo che prima di gettare un oggetto lo onora con il suo ringraziamento per quello che ha fatto per noi. Alla fine ci dimentichiamo troppo spesso di quanta vita c’è e ci abituiamo a convivere con una visione di morte e di inanimato. Facciamo fatica a svegliare il cuore perché vediamo un mondo fatto di oggetti a cui possiamo evitare di dare rispetto. Ne abbiamo molti e possiamo sprecarne moltissimi.
La storia dell’arpa ci insegna la vitalità degli oggetti, la necessità di avere pazienza e rispetto. Ci insegna che ogni cosa può diventare come la pratica della meditazione: un atto ripetuto di cura che vale al di là del risultato raggiunto. Se quell’arpa venisse accordata da altri, o arrivasse bell’e pronta – meccanicamente pronta – non avremmo un vantaggio. Avremmo perso la fase del mettersi in sintonia, una fase importante in qualsiasi relazione.
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© Nicoletta Cinotti Reparenting Ourselves. Ritiro di bioenergetica e mindfulness