
La vergogna è un sentimento che conosco bene: è il sentimento dei timidi e quindi mi appartiene per diritto di nascita. Negli anni sono cambiate le ragioni per cui provo vergogna. Adesso la vergogna di quando ero adolescente mi fa tenerezza: pensare che mi fosse difficile incontrare un ragazzo solo perchè mi piaceva mi sembra una cartolina di un’epoca andata che non butterò mai via.
La vergogna di adesso ha altre sfumature: è quella della pronuncia sbagliata, della frase maldetta. È la vergogna del non sapere, quando, invece, credo che dovrei sapere. Ha una qualità di immobilità che, per un attimo, fa fermare il mondo, oltre che me stessa. Perchè mi sembra che tutti, in quel momento possano sapere che cosa ho combinato. Non è mai dentro le mura di casa, in quel caso l’intimità rende la vergogna impossibile. È la vicinanza con i conoscenti, quelli che non sai se li conosci. Oppure con gli estranei. È con loro che la vergogna continua a prosperare. Ieri sera ho ricevuto una mail: un articolo che avevo inviato è stato rifiutato: “puoi fare di meglio” c’era scritto in calce. Che è sicuramente vero ma è la frase che da sempre attiva in me vergogna. Perché la vergogna sta proprio lì, in quella distanza tra dove siamo e dove dovremmo essere. O meglio dove l’altro si aspettava che io fossi. Era deluso, forse a ragione, forse no. Ma non è quello che è importante.
È cosa succede in me che diventa interessante.
Per lunga abitudine inizio a tendermi, come se fossi un elastico, per arrivare dove immagino che l’altro vorrebbe che fossi. Mi sforzo come se da questo dipendesse molto. Perché vergogna in realtà fa rima con approvazione e dis-approvazione. La disapprovazione accende la vergogna, l’approvazione la spegne ma l’interruttore è lì tra le orecchie e il cuore. Perchè per vergognarsi basta cogliere un tono tra le righe.
Avrei voluto rispondere non riesco a fare di meglio e invece ho risposto ci sentiamo lunedì. Poi ho chiuso il computer e mi sono chiesta se davvero volevo lavorare nel week end per quell’articolo. Se davvero volevo di nuovo allungarmi per arrivare più in alto – dove mi illudo non ci sarà più vergogna – per finire quello che avevo iniziato. Il punto è che la vergogna sta sempre in una relazione e a volte ci sembra che, per aver cura di quella relazione, dobbiamo fare quel piccolo sacrificio che mette quello che facciamo davanti a chi siamo. È la paura della perdita il vero motore della vergogna. Paura di perdere la considerazione dell’altro. Così torniamo sempre alla vecchia amica che spaventa tutti: perdere.
Ma stavolta l’ho guardata negli occhi e le ho detto la verità: non perdo considerazione di me per il giudizio di un’altra persona. C’è spazio per diversi modi di vedere. E quando lascio andare – quasi magicamente – sparisce la paura di perdere e anche la vergogna di aver fallito. Come se crescessero con l’aggrapparsi e si sciogliessero quando lascio che le cose siano proprio così come sono.
Non perdo più proprio perchè, paradossalmente, lascio andare. Lascio andare la lotta per essere migliore e restituisco spazio ad essere chi sono. Lascio andare la lotta per essere speciale “quella brava”, e restituisco spazio al piacere di essere, così come sono. Lascio andare il giudizio perchè rispetto un diverso parere sulle cose e sul mondo, un parere diverso dal mio che non annulla il mio. Non mi vergogno di quel che ho scritto perchè aveva la grazia di quel momento e non la perfezione di un momento che non ho mai vissuto.
Lasciar andare non è vittimismo,
ma la profonda certezza che spesso gli effetti non dipendono da noi.
Lasciar andare non corrisponde ad una critica,
ma ad un atto di estrema fiducia.Stephen Littleword
Pratica di mindfulness: La consapevolezza del respiro
© Nicoletta Cinotti 2018 A scuola di grazia e non di perfezione