
Tutte le spiritualità e le filosofie sono concordi: imparare a sentire è la via della libertà. Cosa c’è di meglio, infatti, che diventare completamente liberi dalle proprie emozioni, conoscerle abbastanza da poter ritrovare una qualità d’essere? Perché isolandoci dal corpo, per abitudine o perché non abbiamo imparato a fare altrimenti, ci isoliamo anche da molte felicità: sentire la pioggia estiva sulla fronte, fare salti di gioia e scoprire fino a che punto quest’energia anima il nostro corpo, assaporare un piatto con gli occhi umidi di piacere, sentire il profumo di terra e humus entrarci nella pelle, stirarsi nell’erba come un gatto e poi camminare a quattro zampe per annusare le fragranze del prato (esercizio tuttavia sconsigliato in città, quantomeno in Francia, per via dello «stato di emergenza prolungato» e del controllo dello Stato sulle nostre piccole follie, senza contare le deiezioni canine).
Il corpo, dunque, favorisce l’accesso al piacere, e vi lascio tranquillamente fantasticare su tutte le implicazioni di questa frase. Ma non finisce qui: sembrerebbe che la presenza del corpo sia l’unica in grado di fonderci con il momento presente. Istante presente = corpo. Punto. Per vivere qui e ora bisogna vivere nelle sensazioni corporee in tempo reale. Uscire dal corpo, quindi, sarebbe come accettare di vivere altrove, nel virtuale, soli nei nostri mondi sublimati.
Una citazione tratta da “La cura del silenzio” di Kankyo Tannier per la Rubrica “Addomesticare pensieri selvatici”
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