
“Il successo è già successo” era un poster che stava sopra la scrivania di una efficientissima segretaria di direzione. Una di quelle persone che sanno sempre dove hanno messo il foglio che tu cerchi di trovare da mesi e scopri nel posto sbagliato dopo averci rinunciato. Io sono sopraffatta dalla burocrazia, dalla contabilità, dalla necessità di seguire le scadenze. Scadenze che vanno dal controllo della caldaia al bollo auto, al rinnovo della patente, all’invio delle fattura al STS. Mi racconto che è perché sono un’anima creativa. In realtà devo ammettere: sono disordinata e amo il rischio. Lotto ogni giorno per diventare più ordinata, più precisa, più organizzata in quell’infinità di cose quotidiane che non amo fare (in quelle che amo fare sono organizzata! il resto è caos). Quel poster però voleva anche dire un’altra cosa, mi ha spiegato la segretaria di direzione. Non dormire sugli allori. Non pensare mai che perché qualcosa è andato bene sei a posto anche per il futuro. Lo diceva con un’aria convinta mentre io ammiravo l’ordine impeccabile di tutto quello che faceva e pensavo alla mia scrivania con ribaltina da cui può uscire qualsiasi cosa, soprattutto quelle inutili.
Tutta quell’etica del successo mi spaventa: come se il piacere fosse sempre sinonimo di rovina. Come se fosse necessario fare sempre meglio e sempre di più. Forse, mi sono detta, dovremmo semplicemente imparare a festeggiare. Festeggiare i momenti felici e riconoscerli come tali. Non le scadenze precise ma proprio festeggiare qualcosa che ti ha reso felice e poi lasciarlo andare leggera. Tanto la vita non consente di indugiare. Ti richiama subito. Una volta qualcuno mi ha raccontato che i baschi non festeggiano il compleanno: festeggiano tutte le volte che un bambino impara qualcosa d’importante.
Così, tra tanti happy hour che spesso sono un po’ ripetitivi, perché non fermarsi per festeggiare l’inizio di qualcosa di nuovo. Oppure l’aver imparato qualcosa di significativo, o l’aver concluso qualcosa di difficile. Questa settimana festeggio l’inizio del protocollo MBSR. Forse è il venticinquesimo ma è come se fosse il primo. E ogni volta mi faccio la stessa domanda: chissà cosa imparerò questa volta? Chissà cosa incontrerò, quali novità scopriremo insieme?
E oggi, cosa mi aspetta? Se ho paura dell’incertezza penserò che so già come sarà la mia giornata. In alternativa posso, invece, cercare la novità nella ripetizione: è molto più divertente!
Non esiste una “prestazione” ma solo quel momento. Non cerchiamo di migliorare o di raggiungere alcunchè. Semplicemente invitiamo noi stessi a immedesimarci in quel momento in piena lucidità. Con questo atteggiamento la vita stessa diventa “pratica”. Dunque, invece di parlare del “fare pratica” sarebbe meglio dire che è la pratica a plasmarvi, o che la vita stessa diventa per voi una guida e un maestro per aiutarvi a meditare. Jon Kabat-Zinn
Pratica di mindfulness: La pratica informale
© Nicoletta Cinotti 2020 Il protocollo MBSR
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