
Se c’è una cosa che è faticosa in famiglia è il fatto che siamo visti sempre nello stesso modo. Gli anni passano, le persone crescono, invecchiano ma rimangono con lo stesso vestito che gli è stato dato da bambini o da adolescenti. Così possiamo ironicamente trovarci a essere adulti responsabili e rispettati nella nostra vita sociale e etichettati come ribelli e rivoluzionari in famiglia. Oppure nevrotici e ansiosi malgrado siamo gli unici ad aver seguito una psicoterapia e gli unici membri della famiglia capaci di sapere come funzionano davvero le faccende emotive.
Succede perché si tende a dare un ruolo e più la famiglia è rigida e più questi ruoli sono stabili. Così ogni famiglia ha il suo gruppo di “personaggi” fissi. Possiamo essere considerati i Ribelli, i Buoni, le Star, gli Infermieri e così via. A volte il ruolo che ci viene dato in famiglia coincide con la nostra professione. A volte invece fa parte della storia familiare a cui ci troviamo ad aderire. Il fatto di rimanere fedeli al ruolo è utile per l’equilibrio della famiglia e ha uno scopo preciso: quel ruolo permette di tenere a bada delle emozioni che, per qualche ragione, non si devono esprimere. Così, anche fisicamente, possiamo scoprire che quando torniamo a casa, in famiglia, dai nostri genitori, ci rimettiamo quel vestito che magari, nel frattempo, è diventato un po’ troppo stretto.
In termine clinico entriamo dentro uno script che ci chiede di portare avanti il nostro ruolo in maniera definita: certe emozioni sono lecite e altre illecite. Io ho avuto per tanti anni il ruolo di quella strana e abbandonica. Un ruolo che mi permetteva di esprimere liberamente molte emozioni ma non di ricevere gratitudine per il mio impegno di cura. Tanto, si sa, lei è inaffidabile. Un po’ c’è e un po non c’è, trasformando così l’inevitabile alternanza di periodi di lontananza e di presenza dovuti a impegni lavorativi e affettivi, in una colpa. C’erano altri effetti collaterali nel mio script: non potevo essere mediocre e nemmeno aver bisogno di aiuto perché avevo una qualità che, nella mia famiglia, è estremamente importante: ero capace. Cosa significhi esattamente essere capace non l’ho ancora capito perché, invece, ho una lunga lista di cose che non so fare e che non ho nemmeno la voglia di imparare a fare!
È stato importante prendere contatto con le conseguenze e gli effetti collaterali del mio ruolo familiare perchè più rimaniamo identificati con questi ruoli e più coltiviamo la nostra ferita originaria. Io credo che diversa sia la parola che potrebbe sostituire strana. Sono strana perché diversa da come si aspettavano che fossi ma per moltissime altre persone posso essere tutt’altro che strana: troppo borghese o troppo esplicita. Troppo sincera o poco formale. Tutti finiscono per attribuirci dei ruoli ma la domanda davvero interessante a cui ho provato a rispondere tramite la pratica di mindfulness è, “chi sono io, davvero?” Al di là di tutti i ruoli, di tutte le parti che mi sono state attribuite, quando sono in intimità con me, chi sono? Questo è la domanda che, ogni tanto mi faccio e mi rispondo che non sapere è la più grande intimità, quella che mi invita ad ascoltare, al di fuori di tutti i ruoli e di tutte le parti. per ritrovarmi, ogni mattina, nuda e cruda.
Ha l’uomo quattro cose
che non servono nel mare:
ancora, timone e remi,
e paura di naufragare. Antonio Machado
Pratica di mindfulness: Be water Oppure la meditazione delle 8 su FB (rimane anche dopo!)
© Nicoletta Cinotti 2021 Reparenting ourselves