
È possibile sviluppare saggezza?
Nelle due settimane precedenti abbiamo delineato la tipologia caratteriale delle persone che sono propense a cercare la bellezza in quello che vedono e, all’opposto quelle che sono propense a vedere i problemi. In ogni caso tutti noi abbiamo bisogno di imparare a vedere con chiarezza e invece spesso rimaniamo abbagliati dalle nostre illusioni. Sono queste illusioni che ostacolano la naturale crescita della nostra saggezza che, almeno in teoria, dovrebbe essere uno dei vantaggi dell’età

Come si formano le illusioni?
Le illusioni hanno principalmente tre origini: nascono dalla distrazione, dalla negazione e dalla percezione errata. La distrazione contribuisce alle nostre illusioni perché non ci permette di cogliere il panorama complessivo. Ci permette di sintonizzarci solo con il compito immediato scambiandolo per tutta la realtà. La distrazione è quella che ci fa guardare il dito che indica la luna invece della luna.
Questo inganno sta alla base di tutti gli stati mentali non salutari. L’attaccamento nasce da una sensazione di mancanza che ci rende incapaci di vedere l’abbondanza della nostra vita. L’avversione nasce dalla ricerca di sicurezza, una ricerca che ci fa credere che l’ostilità possa salvarci. L’inganno genera una mancanza di radicamento nella realtà del presente per collocarci nell’irrealtà dei nostri pensieri.

L’inganno della distrazione
L’inganno della distrazione succede quando siamo persi nei nostri pensieri. È l’esperienza di guidare fino a destinazione, parcheggiare l’auto e rendersi conto di non aver alcun ricordo del percorso fatto o nessuna consapevolezza della giornata appena trascorsa. È il fatidico pilota automatico che ci fa vivere nella trance dell’inadeguatezza.
A breve termine, il pilota automatico permette di estendere la memoria operativa e di imparare delle abitudini, grazie alla ripetizione. La mente collega le azioni necessarie e ci permette di concludere con velocità e grazia il nostro compito abituale. Facilmente, però, le abitudini prendono il sopravvento, perché sono collegate tra loro come anelli di una catena. Così succede che usciamo di casa con l’intenzione di cambiare strada per fare una commissione prima di arrivare in ufficio ma ci ritroviamo a percorrere lo stesso itinerario senza aver fatto la commissione perché, distrattamente, abbiamo seguito la nostra abitudine.
Se non stiamo attenti, gli automatismi prendono il sopravvento e possono assumere il controllo della nostra vita in tanti modi diversi, apparentemente insignificanti. Con il passare del tempo queste catene di abitudini innescate dal nostro pilota automatico possono togliere sapore e consapevolezza. Allenarsi alla consapevolezza riduce la possibilità di cadere in questo inganno.
Inoltre, il pilota automatico ci fa perdere tutte quelle esperienze che non sono né piacevoli né spiacevoli, alimentando attaccamento e avversione. Perdiamo la consapevolezza delle esperienze neutre, quelle in cui guardiamo con calma ed equanimità agli eventi. Ogni giorno potremmo chiederci quanto è vitale la nostra attenzione: un’attenzione priva di energia è un’attenzione che viene risucchiata dagli automatismi.
L’inganno della negazione
Per molti anni ho sognato di essere cieca. Erano sogni confusi, in cui mi muovevo a tentoni in un mondo che non vedevo. Ho impiegato molto tempo prima di capire che quei sogni erano avvertimenti: stavo negando qualcosa della realtà perché non mi piaceva. Era un modo di addormentare il dolore che prima o poi rivelava tutti i suoi limiti. Oggi, quando sogno di essere cieca so che devo fermarmi fino al momento in cui vedo quello che sto negando. Non è una situazione insolita. Vedo molte persone prese dal negare quello che è sotto gli occhi di tutti. Ed è difficile e doloroso togliere qualcuno dalla trance della negazione.
Ci vuole il soccorso del coraggio per affrontare le nostre paure, per cominciare una psicoterapia, per scegliere qualcosa di diverso, rompendo le nostre abitudini. Il coraggio non è lasciare la paura ma prenderla in braccio, sentirne il peso e procedere insieme. Il coraggio nasce dalla compassione che guarda il dolore senza negazione e senza rinuncia.
Queste parti negate, che pure esistono nel nostro panorama interiore, possono diventare aspetti esiliati della nostra personalità che ci spingono ad agire, quasi a nostra insaputa, per realizzare proprio quello che temiamo di più.
Forse ti chiederai come questo sia possibile. Il punto è che la nostra mente non conosce negazione e quindi tutto ciò che esiste è affermativo. Credere che “non” vorremmo mai fare una cosa viene tradotto come una propensione a fare quella stessa cosa. Abbiamo bisogno di riconoscere quello che è presente e di lasciarlo fluire. Lasciar andare è anche un modo per stare nelle verità che ci spaventano quel tanto che ci è necessario per conoscerle senza negarle.

L’inganno della percezione erronea
La nostra percezione erronea della realtà ci porta a negare l’impermanenza e ci invita ad avere delle false convinzioni rispetto alla felicità.
La prima convinzione sbagliata è che per sopravvivere sia importante fare attenzione a tutte le minacce. Sicuramente questa convinzione ha permesso l’evoluzione della specie ma ci mette in una continua condizione di lotta: trascorriamo molto tempo a preoccuparci di cose che non accadranno mai. La seconda convinzione riguarda l’appartenenza a un gruppo. La nostra socialità è cambiata e oggi i gruppi di appartenenza non sono più solo gruppi reali ma anche virtuali. Dobbiamo confrontarci con un ideale di noi già altissimo e con ideali presentati media- ticamente altrettanto alti. Ci confrontiamo con amici reali e virtuali e ne usciamo perdenti con grande facilità. L’evoluzione ha modellato il nostro cervello in un modo che, psicologicamente, ci fa soffrire: confrontarci, valutarci, criticarci sarà uno stimolo al miglioramento ma è anche una tortura quotidiana.
La parola felicità ha due significati diversi. Quello comune è “sentirsi bene” e sappiamo tutti come questa sensazione sia volubile: più cerchiamo di stare bene a lungo e più incontriamo ostacoli e difficoltà. L’altro significato della parola felicità è “vivere una vita ricca di significato”, in accordo con i nostri valori. Questa non è una sensazione fugace, è piuttosto una sensazione duratura che possiamo coltivare e costruire. Quindi, quando parliamo di felicità, qual è la felicità a cui stiamo pensando? Rispondere a questa domanda è importante perché, se pensiamo alla prima accezione della parola, è meglio essere preparati al fatto che si tratta di una felicità leggera come una piuma. L’altra felicità, invece, è leggera come un uccello che sa scegliere la direzione nella quale andare.
L’altra percezione erronea è quella che ci fa credere al carattere duraturo delle esperienze, sia di quelle piacevoli che di quelle spiacevoli. Le prime facciamo di tutto per trattenerele, le seconde di tutto per scacciarle. In realtà però, anche senza la nostra interferenza, le situazioni piacevoli e spiacevoli sono soggette a cambiamento. Non possiamo far durare nulla nemmeno un momento di più della sua fine naturale. La saggezza nasce qui: quando accettiamo la relatà del cambiamento. In una semplice frase “Non è sempre così”.
“«Avete mai visto un uomo o una donna di ottanta, novant’anni–vecchi, fragili, con passi esitanti, denti rotti, pieni di rughe e di macchie sulla pelle? E non vi è mai venuto in mente che succederà anche a voi? Avete mai visto un uomo o una donna gravemente ammalati, sofferenti e afflitti, sollevati da questi e messi a letto da altri, e non vi è mai venuto in mente che anche voi siete soggetti a malattia? Avete mai visto il cadavere di un uomo o di una donna uno o due giorni dopo la morte, gonfio, bluastro o nerastro, pieno di organi in decomposizione, e non vi è mai venuto in mente che anche voi siete soggetti a morte, che non potete sfuggirle?»”Ajahn Chan
Le illusioni che coltiviamo sulla permanenza e sulla felicità ci impediscono di crescere in saggezza e ci fanno perdere la prospettiva. Aprono un tabù: il tabù della conoscenza di chi siamo davvero.
A Sukotai, in Thailandia, c’era un enorme Buddha di terracotta che aveva attraversato più di cinque secoli di storia. Non era una statua particolarmente bella ma la sua longevità la faceva venerare e ammirare. Ad un certo punto i monaci si accorsero che presentava delle crepe e che avrebbe avuto bisogno di un restauro. Fu così che scoprirono che il Buddha di terracotta era solo uno schermo per proteggere il Buddha vero, interamente d’oro, contenuto al suo interno.
Forse noi siamo come quel Buddha. Quello che chiamiamo Io è la nostra maschera di terracotta che serve per proteggere la parte più preziosa, interna. Solo le crepe che apre la vita permetteranno alla brillante nobiltà del nostro oro di mostrarsi alla luce del giorno. Liberarsi dalle illusioni, far crescere la nostra saggezza è come togliersi la maschera per riconoscere la qualità sublime del nostro oro interiore.
© Nicoletta Cinotti 2022
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