
Qualche anno fa un neuro-scienziato di fama internazionale, Francisco Varela, tenne a Bologna delle lezioni che divennero poi un libro sull‘etica. Un libro che apriva una strada di comprensione su un tema complicato anche per una mente geniale come la sua. Eppure Varela fece una semplice distinzione: ci sono due etiche. La prima è l’etica spontanea, quella che sorge quando, improvvisamente, vedi qualcuno in difficoltà. È l’etica del know how, del sapere come fare. È un’etica autentica, immediata, che esprime le migliori qualità della nostra mente originaria. Un’etica spesso sottovalutata proprio perchè spontanea.
Un’etica nella quale noi italiani, di solito, siamo generosi. La solidarietà di fronte a piccole e grandi difficoltà potrebbe essere un nostro tratto nazionale. Forse non appartiene solo a noi: è lo spontaneo impulso ad aiutare: pochi di noi – fortunatamente – ne sono sprovvisti.
Poi c’è l’etica del know what, l’etica del sapere cosa fare. È l’etica riflessiva, l’etica delle organizzazioni, dei gruppi, delle strutture. Il passaggio tra l’etica spontanea e l’etica riflessiva è un passaggio dove le migliori intenzioni rischiano di sfumare e di perdersi in un nulla di fatto. Perché? Perchè nell’etica spontanea siamo in prima persona, siamo mossi da emozioni sociali, solidali e compassionevoli; nell’etica riflessiva diventiamo organizzazione e la forza dell’impatto emotivo immediato si disperde. Diventa “un problema di altri”. Responsabilità di altri oppure competenza di altri, diversi da noi, altri che sono lontani. Altri che non ci riguardano. Altri la cui vita sembra non reale. Quella lontananza permette di perdere etica e di fare scelte che tutelano gli interessi immediati di pochi. Quei pochi che hanno potere e responsabilità in una organizzazione, di qualsiasi tipo sia.
Non ci sono antidoti o magie per questa perdita di etica che avviene quando passiamo dal personale al pubblico. C’è solo una scelta – da moltiplicare all’infinito – “I care” mi riguarda. Sempre, anche e soprattutto quando si tratta di cosa pubblica.
Vivere insieme è un’arte. Thich Nhat Hanh
Pratica di mindfulness: La pratica di gentilezza. Meditazione live
© Nicoletta Cinotti 2018 La cura del silenzio
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