
Credo che molti, come me, abbiano sperimentato la sensazione di essere assediati. Non siamo in prima linea ma questa sensazione di assedio è inevitabilmente connessa al fatto che anche il lontano è molto vicino.
Lo strano è che la sensazione di assedio non è presente solo quando le cose vanno male. È presente anche quando vanno bene o molto bene perché è una condizione interiore in cui, per motivi che non sono mai del tutto chiari, ti manca il respiro perché tutto è troppo vicino, senza spazio e senza pause. Essere assediati è svegliarsi avendo già in mente tutto quello che dovremmo fare, sapendo che riusciremo a finire solo una parte di quella lista che sembra non fermarsi mai del tutto. È una lista che cresce silenziosamente tra la notte e il giorno. Una lista così lunga che a volte potrebbe buttarci giù dal letto. Una lista che, da buoni assediati, ha l’eco di una minaccia incombente anche se indefinita.
Quando la giornata parte così immagino di prendere un lavoro a maglia – di quelli fatti con i ferri grossi – e iniziare a disfarlo. Tiro il filo, rifaccio il gomitolo e provo a tornare all’inizio del respiro. Alla fine l’unica cosa che mi libera davvero dall’assedio è rinunciare: rinunciare a fare tutto, rinunciare a fare bene, rinunciare all’ambizione e al desiderio almeno per qualche breve momento. Rinunciare all’esterno invece che rinunciare a me. Perché quando sono solerte è a me che rinuncio. Rinuncio ad ascoltare la mia fame, la mia sete, il mio bisogno.
In questo rinunciare mi rendo conto che c’è qualcosa di nuovo che mi sta chiamando da quello spazio del silenzio e del disfare. È il desiderio di creare una condizione di vuoto che mitighi l’assedio. È il desiderio di tornare all’origine, al primo punto di quel lavoro a maglia che con tanto piacere ho disfatto per provare la gioia del ricominciare da niente.
Il vero silenzio svergogna qualunque comprensione che abbiamo nel momento presente. Ci rende orfani della certezza. Ci conduce ben oltre quella che è la realtà che conosciamo e accettiamo (…) Nel silenzio l’essenza ci parla di sé stessa e chiede una sorta di disarmo unilaterale. La nostra stessa natura emerge con lentezza mentre la periferia fortificata si disgrega e crolla. David Whyte, Consolazioni
Pratica di mindfulness: I suoni del silenzio
© Nicoletta Cinotti 2022 Il silenzio come cura. Ultimi giorni per iscriversi con early bird
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