
Meditare vuol dire stare con tutto ciò che c’è in quel dato momento, con tutto ciò che si è in quel dato momento, né più né meno. Stare ed essere completamente nel qui e ora, senza aspettative. Non vuol dire cambiare lo stato delle cose (che sia un pensiero, un’emozione o un dolore fisico), né tantomeno reprimerle, ma riuscire ad accoglierle così come sono, dando attenzione intenzionale con un’atteggiamento da osservatore neutrale o testimone. A questo punto cosa resta? Resta la lingua della poesia che è una lingua evocativa. Evocativa perchè chiama, evoca sensazioni, ricordi, riflessioni.
Ciò che resta è la lingua della poesia. Una lingua che non dice nulla ma chiama. Il vocativo è quella parte della lingua che non dice nulla ma chiama, anzi interrompe il quotidiano, crea una rottura, è una parte della lingua che non cade nel discorso… Chiama ciò che si perde, ciò che si è perduto, e ciò che si perde è di dio“. Giorgio Agamben
La poesia chiama il ritorno all’origine. Guarda l’esperienza con questa chiamata ma non la definisce. Piuttosto la esprime perchè è una con l’esperienza stessa. Ed ecco quindi che poesia e meditazione si incontrano di nuovo. Sono parole che non regalano le certezza della prosa. Chiama ciò che stiamo cercando, con tutta la forza della nostra ricerca.
Come essere un poeta (per mio promemoria)
https://www.nicolettacinotti.net/eventi/la-bellezza-delle-parole/
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