
Quando meditiamo, iniziamo la pratica con un gesto apparentemente piccolo: chiudere gli occhi. Con quel gesto ci prendiamo un impegno che è aprire la consapevolezza verso il mondo interno. Un mondo interno che non è strettamente personale: i nostri pensieri raramente riguardano solo noi. Sono popolati di persone e di relazioni ma chiudendo gli occhi sappiamo che ci prepariamo ad ascoltare la nostra voce. Anche se quello che troviamo è un incessante dialogo con qualcuno della nostra vita, in qualche modo, quello che ascoltiamo, in quel momento, è la nostra voce, la nostra lettura di ciò che è accaduto, accade, potrebbe accadere. Una voce che è più difficile ascoltare se gli occhi sono aperti e stimolati da ciò che vediamo.
Non è tanto diverso quando scriviamo. In quel momento – metaforicamente – chiudiamo la porta al mondo esterno per lasciar uscire la nostra voce. Che magari racconta la storia di altri, oppure la nostra. I cronisti però hanno la nostra voce, la nostra lettura delle cose e la nostra intonazione. La scrittura nasce da questa intimità. Come dice Chandra Livia Candiani “scrivo per abitare, leggo per traslocare“. Perchè leggendo, quello che scrivono gli altri ma più ancora quello che abbiamo scritto noi, quegli occhi chiusi sarebbero d’intralcio. Renderebbero le nostre parole un monologo privo di significato: non scriviamo mai solo per noi. Abbiamo sempre in mente qualcun altro quando scriviamo e vogliamo conquistarlo con le nostre parole.
Così se scriviamo a porte chiuse poi dobbiamo aprire le porte quando rileggiamo quello che abbiamo scritto. E quell’azione è, di nuovo, una azione meditativa. È quel processo di distanza e dis-identificazione che la meditazione ci insegna a fare ogni giorno, giorno dopo giorno. Se siamo troppo immersi in quello che sentiamo ne perdiamo il significato: tutti i processi simbolici nascono dalla distanza. È solo se andiamo troppo lontani che quella distanza diventa astrazione e ci perdiamo anziché ritrovarci. Se invece mettiamo la piccola distanza che sta nel leggere quello che abbiamo scritto come se fossimo un’altra persona – perchè siamo già un’altra persona rispetto a quella che ha scritto – allora permettiamo alla porta aperta di fare quello che fa il vento: toglie ciò che non ha radici. Toglie le parole inutili, toglie la stagnazione. Toglie quello che appesantisce e lascia le nostre parole leggere come la neve e come la neve capaci di rendere tutto nella sua essenziale bellezza e verità.
Quando scrivi qualunque stupidaggine, la stai raccontando a te stesso. Al momento della revisione, la tua missione è sbarazzarti del superfluo. Stephen King
La poesia del giorno: oggi la poesia del giorno scrivila tu. Poche parole, quelle che nascono e filtrano dal Grande Censore che abita dentro di noi. È domenica. Anche i grandi censori si prendono un giorno di festa e in quel giorno puoi dare voce alle tue parole. Non preoccuparti di rima e metrica. Quando lasciamo uscire la nostra voce è sempre poetica, almeno per noi.
© La poesia del giorno by Nicoletta Cinotti
Photo by marie-bellando-mitjans-552657-unsplash