
Quest’anno ho avuto un ospite in casa. Uno di quegli ospiti che, quando arrivano, non vedi l’ora che se ne vadano. Qualcuno della mia famiglia si è ammalato. Prima qualcuno dei vecchi, poi il più giovane. Lascerò vaga la loro identità perché non è di loro che voglio parlare ma di quell’ospite strano e invadente che è la malattia. Anche se loro due sono, ogni giorno, nella mia mente e nel mio cuore. Sembra normale che un anziano si ammali. È uno scandalo che si ammali una persona giovane: ti viene subito voglia di gridare che è un’ingiustizia. Poi ti rendi conto di quanto questa ingiustizia sia diffusa e capisci che non ci sono graduatorie, né ordini cronologici. Le cose accadono, anche a chi sembra poco a rischio. Quando si ammala qualcuno diventano evidenti, come cartine di tornasole, tutti i legami affettivi che stanno intorno a loro. E non c’è lei senza lui come non c’è lui senza lei. È impensabile che il fatto che si ammali uno non riguardi – immediatamente – anche il cerchio di affetti familiari e amicali. E questa è la prima lezione della malattia
Lesson 1: la malattia non riguarda solo chi si ammala
La malattia assomiglia a un sasso che cade nell’acqua: fa tanti cerchi che si allontanano da quel centro e che sono, via via, più leggeri. Ha un epicentro e una periferia ma ad ammalarsi non è mai solo la persona in questione: sono tutte le persone coinvolte nella cura. Incluse quelle che fanno finta che il problema non li riguardi. Incluse quelle che spariscono (e in ogni malattia ce ne sono). A volte, paradossalmente, è più “semplice” essere gli ammalati che le persone che curano gli ammalati. In ogni caso ognuno ha le sue gatte da pelare, chi è ammalato come chi cura. Perché devi avvicinarli come ci si avvicina un animale ferito, con cautela: niente è scontato. A volte chi è ammalato è più forte di chi è sano. Credo che sia perché chi è ammalato non ha alternative: è li dentro e deve trovare un modo di starci al meglio. Chi è sano si riempie la testa di Se avessi fatto, se mi fossi accorto, se andassimo da quel medico invece che da quell’altro. E questo divide la sua energia, la sua forza, il suo coraggio. Non serve a niente farlo ma lo facciamo.
Lesson 2: niente è scontato
Niente è scontato nella malattia, inclusa l’età della persona che si ammalerà. Se ti sembra che uno sia abbastanza, non dirlo. Potrebbero diventare due e così è stato. Solo che stavolta la cosa non era scontata affatto. Siamo abituati a pensare che invecchiare comporti malattia. C’è una logica e un ordine in questo pensiero. Peccato che non sia vero Ci si può ammalare a qualsiasi età e questa malattia può non avere fine evidente. Ci sono molte malattie che sono (o diventano) croniche. Devi fargli spazio, non c’è altro da fare. E, ogni volta, dialogare con saggezza con la nuova domanda che ti portano davanti. Senza fare sciocchezze, né permettendoti troppe originalità. Hanno una loro etica le malattie: vogliono attenzione.
Lesson 3: quanta attenzione
La terza lezione riguarda proprio l’attenzione. Ci vuole per curare, per sapere cosa sta succedendo, per sapere cosa rispondere. Ma se questa attenzione diventa apprensione è molto dannosa. Diventa una specie di peso, di riflettore sempre puntato addosso a chi è ammalato e le persone rimangono esseri indipendenti sempre, anche quando hanno bisogno di cure. Anzi, soprattutto quando hanno bisogno di cure è importante non trasformarli in persone dipendenti. Non serve a nessuno, tanto meno a loro. Così regolare l’attenzione diventa importante tanto quanto il dosaggio del cortisone o di qualsiasi altro farmaco. Ci chiede, in una parola, di essere consapevoli di quello che succede
Lesson 4: la consapevolezza
Le malattie sono una sfida di consapevolezza e ti insegnano una cosa importante della inconsapevolezza: le cose più pericolose accadono quando non ne sei consapevole. Le più paurose dopo. Perché essere consapevole ti mette di fronte alla paura di quello che sta succedendo e alla paura delle conseguenze ma il vero pericolo lo corri quando costruisci la malattia (perché alcune malattie si costruiscono negli anni) oppure quando la malattia è arrivata ma ancora non lo sai e lei scorrazza nel tuo corpo facendo danni a destra e manca come certi teppisti da stadio. Quando arrivano giornalisti e forze dell’ordine diventa chiaro a tutti cosa stava succedendo ma il vero pericolo era prima. Per quanto riguarda quella malattia strana che è la vecchiaia uno dei medici consultati ha detto “non è vero che sta male da tre mesi. Questa malattia l’ha costruita negli ultimi vent’anni e negli ultimi tre mesi i sintomi sono diventati così evidenti da non poterli negare”. Perché è vero (anche se la frase suona un po’ colpevolizzante): è la negazione il vero nemico della salute. Molto molto spesso il corpo manda segnali che neghiamo abbiano un peso, per paura, per distrazione, per tante buone ragioni. L’unica ragione che non serve è il senso di colpa
Lesson 5: il senso di colpa
Per qualche motivo misterioso spesso le malattie si accompagnano al senso di colpa. Dei parenti – perché non si sono accorti prima – degli ammalati – perché pensano che avrebbero dovuto fare qualcosa di diverso – e anche dei medici. Vi assicuro che conosco molti medici che non dormono sonni tranquilli. Facciamo una affermazione epocale: il senso di colpa non serve e peggiora le cose. Buttiamolo dalla finestra e non facciamolo rientrare dalla porta. Le cose succedono e ammalarsi fa parte del gioco a cui partecipiamo dal momento in cui siamo nati. Medicina psicosomatica non vuol dire che è colpa tua se ti ammali, come succede in molti casi. Oppure che è colpa tua se non guarisci. Vuol dire che c’è una identità mente-corpo che va sempre tenuta presente. E come stai nella vita influenza la tua salute fisica e mentale. Ma la notizia che la malattia esiste significa che siamo responsabili della cura non che siamo colpevoli della malattia. Reich (il solito Wilhelm Reich “pazzo” antesignano della psicoterapia corporea) diceva una cosa fortissima e bellissima. Diceva che la salute non è data dal fatto di non ammalarsi. La salute è data da quanto tempo ci metti a guarire quando ti sei ammalato, perché ammalarsi è normale. Bisogna maneggiare con cura la psicologia perché altrimenti fa più danni della grandine
Lesson 6: maneggiare con cura la psicologia
Qualche tempo fa circolava in rete una vignetta che diceva “eh no, non siamo tutti un po’ psicologi” per scherzare sulla tendenza ad abusare delle nozioni psicologiche. Questa tendenza riguarda anche le nozioni mediche (vedi Carlo Verdone che non è medico ma parla di medicine e malattia con ironia e competenza). Bene, nella malattia questa tendenza impazza e diventa nociva. Si passa da cure mediche improbabili, a consigli psicologici da fare accapponare la pelle. Per favore non fatelo: diventa un tormento per chi questo lavoro – di medico e psicologo – lo fa per professione e per i familiari e i malati. Intanto essere malati richiederebbe delicatezza: lasciate stare le diagnosi sul momento. Sul momento è buono solo l’uovo fresco. Tutto il resto richiede riflessione. E il 90% dei consigli psicologici che sento sono sbagliati. Essere malati non significa che si debba subito iniziare una psicoterapia. La malattia è un ospite esigente e, soprattutto nelle prime fasi, porta via tutta l’energia disponibile: aggiungerci uno psicologo diventerebbe troppo. Inoltre anche se uno è malato ha diritto di autodeterminazione: lo dirà lui/lei se vuole uno psicologo. In ogni caso, valutate con cura il tipo di approccio, perché non sono tutti uguali. È scegliete la persona a cui rivolgervi. Scegliete. Proprio come si sceglie qualsiasi altra cosa. Fate più colloqui e fidatevi del vostro intuito. Ma ricordatevi: non abusate di consigli psicologici a caso. Fanno male, a volte malissimo.
Lesson 7: qualcosa da leggere
Io non sono tanto buddista anche se medito da una vita ma la teoria della mente – l’Abhidhamma – della psicologia buddista rimane uno strumento psicologico fondamentale da conoscere e praticare. Ricco di spunti concreti per la vita quotidiana e di indicazioni semplici da mettere in pratica. I libri in circolazione sono praticamente infiniti. Vi segnalo l’ultimo che ho letto e che è dedicato alla malattia “Quando tutto cambia. Meditazioni sulla vita e sulla malattia” di Toni Bernhard. È un libro che ho apprezzato perché è scritto in prima persona. Toni si trova a dover abbandonare la sua vita abituale in maniera brusca e radicale a causa di una malattia autoimmune che non trova cure adeguate. Una vera rivoluzione che la porta da essere direttore del dipartimento di Legge all’Università ad essere isolata nella propria camera da letto. Descrive il suo percorso con suggerimenti che nascono dagli errori e dalle cose che hanno funzionato. È una condizione di malattia particolare la sua perché è una malattia cronica che non prevede guarigione ma il modo con cui descrive come ha affrontato i vari aspetti è ricco di saggezza. Include anche un capitolo sui consigli psicologici sbagliati!
Così, se in questo anno hai avuto anche tu a che fare con questo ospite invadente – la malattia – in una delle sue tante forme (come ammalato o come amico e familiare di qualcuno che si è ammalato) il mio augurio è particolarmente dedicato a te. Non so come stai tu. Io mi sento – un po’ ironicamente – come quei personaggi dei film americani che vengono fuori da un disastro un po’ ammaccati ma sorridenti. Lo faccio perché non posso abbandonare la mia ironia e perché la malattia ha sempre qualcosa di eroico. Non ha solo tolto. Ha anche restituito delle cose. Ha restituito unione familiare, consapevolezza, tenerezza e un po’ di distacco da quel senso di vittoria che, invece, hanno gli eroi americani. Mi ha insegnato che vincere e perdere sono la stessa cosa. Come dice il mio amico Walt Whitman, che in questi giorni mi ha fatto molta compagnia “Avete udito che è bello vincere? Ma io vi dico anche che è bello cadere – le battaglie si perdono con lo stesso spirito con cui si vincono.” Buon anno, con tenerezza. Nicoletta
© Nicoletta Cinotti 2018
Photo by Nathan Anderson on Unsplash
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