
L’ansia è un’emozione strana: non arriva subito nella nostra vita ma dopo. Quanto dopo? Qualche anno dopo. I bambini piccoli non provano ansia ma paura, un’emozione più immediata che sorge di fronte ad un pericolo presente. perché l’ansia, per essere tale, richiede di avere una memoria del futuro e la capacità di fare ipotesi. Ma perché alcune persone sono tormentate dall’ansia e altre ne sono libere e la provano solo come emozione dell’inizio?
La ragione è, apparentemente, semplice. Quando un bambino ha paura cerca conforto, consolazione e rassicurazione tra le braccia dei suoi genitori o dell’adulto che è con lui. Non siamo in grado, da piccoli, di calmarci da soli: abbiamo bisogno dell’aiuto di qualcuno che percepiamo molto più forte di noi. Qui avviene il secondo passaggio: un passaggio di pelle. Perché il bambino, qualunque bambino, sente se l’adulto che lo consola è calmo o agitato. Non capisce che cosa succede ma si rende conto, a pelle, se chi lo deve consolare, è preoccupato, o agitato, o arrabbiato. E allora la consolazione non funziona proprio bene come dovrebbe: rimane una quota di sentimento non consolato che, nei bambini, diventa irrequietezza. Spesso irrequietezza motoria, a volte inconsolabilità al pianto.
Insomma ai bambini non si può mentire, perché loro capiscono, empaticamente e per imitazione non verbale, come ci sentiamo. Così, se i nostri genitori andavano in ansia quando noi avevamo paura, piano piano abbiamo iniziato a diventare ansiosi anche noi. La prima serie termina qui.
Ma, come tutte le serie televisive, non ci fermiamo al primo ciclo. Una volta diventati adulti dovremmo sapere come consolarci e confortarci nei momenti di difficoltà e, solo secondariamente, chiediamo aiuto. Se però abbiamo fatto l’esperienza di non essere stati consolati siamo arrivati all’età adulta con due bias – due malcomprensioni – al riguardo. La prima è che ciò che ci agita va calmato distraendosi invece che confortandosi. La seconda è che ciò che ci agita dentro è roba paurosa. E questa è la seconda serie.
Poi, ad un certo punto, decidiamo di andare oltre ai limiti della distrazione e oltre ai limiti dettati dalla nostra ansia perché ci rendiamo conto che così non stiamo tanto bene. E decidiamo, per esempio, di iniziare a praticare mindfulness. La prima reazione è quella che si prova quando si fa retromarcia e si torna sul luogo di un fantomatico misfatto. Le sensazioni vanno dall’ansia, all’irrequietezza, al torpore. Tutto questo non è un segnale di stop. Stiamo semplicemente riprendendo il lavoro dal punto in cui è stato interrotto. Stiamo iniziando a imparare – o continuando ad imparare – come essere buoni genitori di noi stessi. Un buon genitore non risponde con indifferenza ai segnali di disagio. E nemmeno con ansia. Risponde con cura e attenzione affettuosa. Questa è la terza seria che apre un film completamente nuovo.
L’ansia è sempre un vuoto che si genera tra il modo in cui le cose sono e il modo in cui pensiamo che dovrebbero essere; è qualcosa che si colloca tra il reale e l’irreale. Charlotte Joko Beck
Pratica di mindfulness: Cullare il cuore
© Nicoletta Cinotti 2021 Reparenting ourselves
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