
Vado al cinema, preparandomi mentalmente al fatto che una riduzione cinematografica di Piccole donne sarà diversa dal libro che ho letto e riletto mille volte. Trascino con me, un po’ riluttante, mio marito e mi siedo nelle prime file, la sala era piena. Si spegnono le luci e dopo meno di 10 minuti ero lì, dentro il film proprio come quando leggevo il libro ed entravo dentro la storia e diventavo parte della famiglia March. Cos’è che mi cattura, mi sono chiesta? Due frasi: “Ma tu lo ami? Vorrei essere amata…non sono la stessa cosa, le risponde la madre“. Credo che la mia storia di donna sia iniziata così. Con il desiderio di essere amata più che con l’intenzione di amare. Non sono la stessa cosa ma molte donne le confondono e rimangono catturate dal loro desiderio di essere amate scegliendo relazioni, professioni, situazioni che non le riguardano ma in cui trovano approvazione, ammirazione o la semplice sensazione di essere amate. È quando lo specchio si ribalta, quando diventa più importante il desiderio di amare che diventiamo donne e incontriamo così il pericolo opposto: amare gli altri più di noi, come la madre della famiglia March. Si potrebbe fare un accordo? Per esempio amare noi quanto amiamo gli altri? O almeno stabilire che se non c’è reciprocità nell’amore non è salutare? Perché il dubbio che viene è che la generosità della signora March, la mamma delle Piccole Donne, sia una naturale prosecuzione del desiderio di essere amate. Un desiderio che si esprime con eccezionali atti d’amore verso gli altri.
“La vita è troppo breve per odiare una sorella”, è la seconda frase. Verissimo: troppo inutile odiare un’altra donna: frequente attività agonistica. Che dolore perdere il senso di solidarietà, vicinanza, intimità che c’è tra sorelle per competizione. Eppure nessuna donna diventa adulta senza avere una sorella – simbolica o reale – con la quale si misura. Non è la madre. È proprio la sorella, qualcuno potenzialmente come te ma a cui le cose sono andate diversamente. Meglio o peggio fa differenza ma non è così tanto importante se si considera il dolore di perdersi e l’alternanza di fortuna e sfortuna nella vita di ciascuno di noi. Così, per me, il vero happy end di Piccole Donne non è il matrimonio di Jo o la sua ritrovata grinta come scrittrice (che è tra le scene più belle del film). Nemmeno la scuola che realizza con l’eredità della zia. Il vero happy end è la pace tra Jo e Amy.
Non erano si erano ancora riaccese le luci che mio marito era fuori dalla sala. Gli ho chiesto se Piccole Donne si potrebbe ribaltare al maschile: sembra di no. Non ha capito perchè mi soffiavo spesso il naso: mi ha detto che i cinema sono pieni di acari. In effetti è proprio così: un acaro di vita tutto in un film!
Vorrei non averla affatto la coscienza: è troppo scomoda. Se non mi preoccupassi sempre di agire rettamente e non mi sentissi a disagio quando sbaglio, andrei avanti magnificamente. Louise May Alcott
Pratica di mindfulness: Self compassion breathing
© Nicoletta Cinotti 2020 Reparenting ourselves