
Domani, 6 Settembre, riprendo il mio lavoro in studio dopo la pausa estiva. Da anni la mia pausa estiva non è solo il momento in cui sono letteralmente in vacanza. Ho bisogno anche di fare “vacanza a casa”: una vita normale, dove leggo, studio, mi muovo e fantastico l’anno che verrà. Perché una cosa è certa: lavorare troppo appiattisce la mia creatività e non solo la mia. Nel 2013 la giornalista giapponese Miwa Sado morì improvvisamente dopo un lungo periodo di superlavoro. La sua morte venne definita una morte per karoshi e fu una delle 133 morti di quell’anno causate dal superlavoro in Giappone ma paese che vai e superlavoro che trovi


Paese che vai e superlavoro che trovi
Il lavoro è parte della cultura a cui apparteniamo e forse noi italiani non rischiamo la morte per superlavoro nello stesso modo dei giapponesi ma anche noi conosciamo il super-lavoro e, sempre di più, il superlavoro intellettuale.
Fino agli inizi del ‘900 erano gli operai e i braccianti che avevano turni di lavoro di 11 ore e lo svolgere una professione intellettuale era caratterizzato anche dalla possibilità di avere più tempo libero. Le lotte dei lavoratori hanno portato ad una riduzione dell’orario di lavoro a 8 ore giornaliere e 38/40 ore settimanali ma, contemporaneamente, siamo diventati imprenditori di noi stessi e il numero di ore di lavoro non è stato più definito solo da un capo esterno ma anche, e sempre più, da un temutissimo “capo interno”
Il capo interno e gli imprenditori di sé stessi
Il cambiamento del mercato del lavoro ha fatto sì che ci fosse, in Italia ma non solo, un aumento esponenziale delle libere professioni. Non solo quelle che tradizionalmente sono sempre state considerate libere professioni ma anche quell’ampia e varia categoria di freelance che spesso sono semplicemente persone che potrebbero avere un contratto di assunzione ma alle quali, per ragioni economiche, viene proposto di essere una “partita Iva”. In questo caso non c’è più solo un capo esterno ma anche un capo interno che ci spinge a lavorare di più. Quanto di più? Almeno un 20% in più di quello che sarebbe opportuno. E a questo 20% in più non corrisponde un 20% in più di stress ma almeno un 40% in più di stress secondo la legge di Parkinson.
La legge di Parkinson
Cos’è la legge di Parkinson? È la considerazione, che potrà apparire ovvia, che il lavoro si espande nel tempo che abbiamo a disposizione per farlo. Cosa vuol dire? Vuol dire che se penso di avere una settimana per fare un’attività definita, ci metterò una settimana, se penso di avere tre giorni ci metterò tre giorni senza che ci siano significative differenze tra la qualità e quantità di lavoro effettivamente svolto. In parole pratiche questo significa che possiamo prendere l’abitudine di riempire il nostro tempo in maniera eccessiva perché abbiamo scoperto che più tempo abbiamo e più tempo perdiamo. Legge estremamente pericolosa per un freelance o un libero professionista che per prudenza tende sempre a desiderare un 20% in più di quello che potrebbe e sarebbe opportuno fare.
Se è vero che quando il tempo scarseggia chi lavora lo fa con maggiore efficacia, è anche vero che, in questo modo portiamo all’esasperazione la nostra efficienza e il nostro stress.
Il geniale Mr. Parkinson!
Mr. Parkinson era uno storico navale. Nel 1955 si accorse che negli anni tra il 1914 e il 1928 – anni in cui la flotta navale britannica diminuì considerevolmente – la burocrazia amministrativa aumentò considerevolmente. Ne dedusse che l’apparato amministrativo, lasciato senza rigide direttive, diventa un sistema a sé stante che comincia a crescere ben oltre il necessario. Paragonò la crescita della burocrazia al comportamento di replicazione dei batteri e stabilì delle leggi matematiche esplicative del fenomeno.
Se sei un libero professionista o un freelance e non organizzi il tuo lavoro ad un certo punto le mail inevase, le pratiche amministrative, le bollette, i contratti delle utenze, come batteri, invadono il campo e portano via tempo, creatività e attenzione. Insomma non solo usiamo tutto il tempo che abbiamo e se ne abbiamo meno siamo più produttivi ma la parte amministrativa, ad un certo punto, diventa un sistema autonomo che “mangia” il tempo lavorativo!
Ma perché lavoriamo troppo?
La domanda però rimane: perché lavoriamo troppo?
- molto spesso è l’ansia a dominare il superlavoro. la paura di non farcela in tutte le accezioni che questa può avere. Non farcela a pagare le spese oppure, avere la sensazione di non essere all’altezza
- a volte lavoriamo troppo perché la vita che abbiamo nel tempo libero non è altrettanto gratificante. Non è una legge ma sappiamo bene per esperienza personale che tendiamo ad aggrapparci alle attività che ci danno piacere e ad evitare quelle che ci suscitano avversione, indipendentemente da quello che sarebbe meglio fare prima.
- lavoriamo troppo in previsione di una ricompensa futura. Tutti i comportamenti compulsivi (e lavorare troppo è un comportamento compulsivo) sono portati avanti in vista di un piacere futuro. Il problema è che attivano il circuito della dipendenza. Progressivamente, il tempo del piacere per il risultato raggiunto diminuisce e aumenta il numero dei comportamenti compulsivi. Per fare un esempio banale bere un caffè può essere piacevole, bere 10 caffè è il tentativo illusorio di ripetere quello stesso piacere senza essere sufficientemente presenti da sentirlo. Insomma abbiamo acceso il pilota automatico e se guida lui non siamo più padroni di guidare noi.
Lo stress, il pilota automatico e la velocità
Il pilota automatico ci permette di avere una modalità multitasking che consente di fare più cose contemporaneamente. Ottima per la legge di Parkinson, pessima per lo stress. Siccome per fare tante cose, per essere efficienti, dobbiamo anche essere veloci abbiamo, in un colpo solo, alimentato lo stress con tre mosse:
- La prima mossa è che essendo veloci riduciamo presenza e consapevolezza. La presenza e la consapevolezza sono azioni lente, richiedono tempo perché richiedono l’acquisizione delle sensazioni fisiche. Sensazioni che nascono con il movimento ma vengono compattate dalla velocità. Compattate? Sì, compattate vuol dire che quando siamo veloci la percezione fisica diventa globale più che analitica e se siamo molto veloci la sensazione del corpo quasi sparisce come scoprono le persone quando praticano il Body Scan.
- La seconda mossa è che velocità chiama velocità e quindi emergono prevalentemente le emozioni veloci, quelle del sistema difensivo e diminuiscono le emozioni lente, quelle del sistema affiliativo. Detto in parole povere ma efficaci, diventiamo più scorbutici e meno affettuosi.
- Mettiamo sotto pressione, sotto stress, la nostra attenzione che, prima o poi diventerà o troppo concentrata o troppo distratta: due estremi che sono entrambi dannosi. Quando siamo troppo concentrati perdiamo le informazioni dell’ambiente che ci circonda, anche di quello umano, e quando siamo troppo distratti emergono rimuginazioni e preoccupazioni.
E il gioco è fatto perché, a questo punto, per tenere a bada le preoccupazioni lavoreremo di più!

La storia dello stress
Anche lo stress ha una storia: viene più o meno dalla preistoria. Abbiamo sviluppato progressivamente la capacità di sopportare lo stress delle minacce fisiche per tornare poi allo stato di quiete quando la minaccia fisica è passata. Il problema – perché questo sì che è un problema – è che il nostro stress adesso non è legato ad una minaccia fisica, che dura un tempo definito, ma è legato alla sensazione interiore di pericolo. Quella sensazione può durare molto di più, anche tutta la vita. Cerchiamo di curarla facendo cose che riteniamo utili alla nostra sopravvivenza. Un tempo si diceva “mettere il fieno in cascina” ed era un’azione letterale. C’era una cascina e si poteva vedere quanto fieno era stato preparato per l’inverno. Adesso puoi sapere quanto “fieno hai messo in cascina” ma non puoi davvero prevedere come sarà l’inverno. Potrebbe essere un inverno senza grosse difficoltà oppure trovarti a fronteggiare una situazione di grande incertezza che non avevi previsto.

Pesciolini e rane bollite
C’è una storia zen molto nota che racconta di due pesciolini che sono nell’oceano. Si incontrano e si domandano dove sia l’oceano di cui tutti parlano. Non si accorgono di nuotare proprio nell’oceano! Lo stress è così, quando ci sei immerso non te ne accorgi e, anzi, fai qualcosa che aumenta lo stress inconsapevolmente. Per uscire da questo circolo vizioso è necessario fermarsi.
Smart working e pandemia
Chi aveva previsto la pandemia? L’OMS ma i governi non sono stati solleciti a credere che sarebbe accaduto e nemmeno che fosse necessario prepararsi. Anche diversi ricercatori (e scrittori distopici) avevano previsto questa possibilità ma noi ci difendiamo solo dai pericoli che abbiamo effettivamente incontrato. Una volta incontrati non li molliamo più: prima non ci crediamo. Facciamo così anche per lo stress: Lo sappiamo che esageriamo ma non ci fermiamo fino a che non esplode…o no?
Sicuramente con la pandemia abbiamo scoperto un nuovo livello di incertezza e un nuovo mondo di possibilità. Per esempio, la possibilità di fare le riunioni online evitando di passare tanto tempo sui mezzi di trasporto. Abbiamo anche scoperto che lavorare da casa, che prima veniva considerato una perdita di efficienza, può essere molto più produttivo. A patto che ci sia possibile darsi degli orari! Sì perché se agli inizi del secolo abbiamo lottato per la riduzione degli orari di lavoro oggi rischiamo di trovarci ad imporre a noi stessi orari di questo tipo senza aver paura che ci portino ad uno stress eccessivo. Perché, per paradossale che sia, non ci rendiamo mai conto del pericolo in cui siamo immersi

La riduzione dello stress
La mindfulness è strettamente associata alla riduzione dello stress ma quello che è successo è che la parola mindfulness è diventata dominante e la parola stress si è ridotta fino a scomparire. Forse per la storia dei pesciolini e delle rane bollite che non si accorgono che stanno finendo per essere “cotte” e rimangono nel loro brodo di cottura.
Ma l’idea di Jon Kabat-Zinn e della sue equipe era che la mindfulness fosse utile per la riduzione dello stress. In questa inversione di termini – che ha fatto sparire la parole stress e ingigantire la parola mindfulness – rischiamo diverse cose. La prima è che la mindfulness venga fraintesa come un altro dei mille modi che conosciamo per migliorarci. Praticare mindfulness migliora la qualità della vita ma non è una progressione lineare e nemmeno automatica. La mindfulness fa molti inviti che hanno un effetto immediato sul nostro stress:
- Rallentare per lasciar emergere le emozioni del sistema affiliativo (gioia, affetto, compassione, amore)
- Non sforzarsi per permettere al corpo di farsi sentire
- ricucire la separazione tra corpo e mente
- essere presenti
- essere consapevoli di gioia e dolore senza giudicare quello che accade
- essere curiosi, il segnale più chiaro che siamo fuori dal pilota automatico

Sei aquila o rondine?
Come scrivevo poche righe fa l’ansia, lo stress, la velocità riducono le nostre qualità sociali. Ci fanno perdere di vista l’importanza del gruppo e, soprattutto, la risorsa che è costituita dall’essere insieme. “Chi corre veloce corre da solo” dice un proverbio. Un elemento che potrebbe sembrarci quasi augurale ( a volte è proprio difficile stare insieme agli altri) ma le grandi imprese solitarie sono sempre condite a base di stress. Lo sanno bene gli uccelli migratori. Solo il 50% degli uccelli è migratore e sono quelle specie che scelgono di non lottare per la competizione e la sopravvivenza ma di cercare le condizioni più favorevoli per la loro vita. Le aquile non migrano, le rondoni sì. Sappiamo bene che negli animali che vivono in gruppo è il maschio dominante quello che ha patologie legate allo stress (proprio le stesse patologie che abbiamo anche noi: ulcera per esempio!). Ma gli uccelli migratori non hanno problemi di questo tipo: il gruppo costituisce il loro superpotere che gli permetterà di compiere un’impresa che, da soli, sarebbe impossibile. Proprio come succede a noi umani che fioriamo quando il team, la famiglia, il gruppo di appartenenza, funziona. Ecco Mindfulness per la riduzione dello stress significa anche questo: fare un viaggio in gruppo e non in solitaria. Un viaggio in cui ognuno è di fronte a se stesso ma impara dalle risorse che il gruppo mette a nostra disposizione: è così che possiamo ridurre lo stress. Che il nostro stress sia lavorativo o personale, il punto è diventare consapevoli di cosa abbiamo veramente bisogno. Altrimenti, compulsivamente, continueremo a fare le stesse cose e a correre, come criceti nella stessa ruota!