
«Ho chiesto a mio figlio e a mio marito, per Natale, di scrivermi una lettera, a mano, con le loro parole e la loro grafia. È questo il regalo che desidero».
Nel tempo “rubato” alle infinite sollecitazioni e distrazioni della rete ci sediamo al tavolo, ci dedichiamo questo spazio e questo tempo: un tempo lento, prezioso. Un tempo per noi.
Un tempo per la carta: quale? Liscia, ruvida, bianca o colorata, a righe, a quadretti, senza rigatura… Un tempo per la penna: quale? A sfera, stilografica, pennarello, roller… E per i pensieri: quali? I miei, qui e ora, su questo foglio di carta, per me – o per te, pensieri che giungeranno a te, parlandoti di me. Con la sua intensità emotiva, combinazione di forma e contenuto. Qualcuno dice che l’attività dello scrivere è time-consuming, inutile e complessa. Le comunicazioni vanno di fretta (non c’è tempo!), rari gli sguardi, niente voce, e il tempo guadagnato (utilizzando la tastiera o il touchscreen) viene “reinvestito” in… altre attività. Ma siamo sicuri che è da considerarsi tempo perso? Non è forse il perdere tempo il migliore utilizzo che se ne può fare?
Qualcuno ricorderà la sorpresa nel ricevere una lettera, una cartolina, un biglietto d’auguri: leggere il proprio indirizzo – sì, è proprio per me! – girare la busta per scoprire chi ci ha scritto, nei casi in cui non si conosceva/riconosceva la grafia.
Era il tempo della posta cartacea, di cui francobollo e timbro postale ci dicevano la provenienza, le cui stropicciature erano la testimonianza del suo viaggio materiale. Il mittente si dichiarava, ci informava sul suo nome e cognome, sulla sua localizza- zione: aveva scritto da quell’indirizzo, potevamo a nostra volta inviare in quel luogo la nostra risposta.
© Francesca Biasetton