
Tornare presenti all’esperienza del momento che stiamo vivendo non è banale anche se nasciamo tutti dall’unità tra la mente e il corpo. Coltiviamo così tanto un’attenzione divisa tra mente e corpo che finiamo per essere trascinati via dalla nostra fantasia, trascinati dai nostri pensieri, scivolanti tra le colline ghiaiose dell’abitudine.
Così rimettere insieme ciò che nasce insieme non dovrebbe essere difficile ma separare e dividere è avvenuto tante volte e tante volte inconsapevolmente così, per riunire, è necessario un atto intenzionale. Non si ritorna casualmente insieme. Ci si cerca con il desiderio di ritrovarsi. Senza quel desiderio continua la distanza. Magari una distanza piena di fantasia.
Ci si ferma e si porta l’attenzione al corpo. Può essere l’inizio della rappacificazione e se non basta riportare l’attenzione al corpo, anche una mano poggiata là dove è più ampio il respiro, può essere una buona idea. Così la mano fa da ancoraggio all’attenzione che è stata abituata alla dis-attenzione. Ma se anche questo non è sufficiente, allora, diventa necessario tornar bambini e dare a quell’incontro una parola che porti il seme della sensazione, che la descriva, che gentilmente l’esprima. Se fossi adulta direi che bisogna tornare alla polisemia delle parole, a mischiare i campi semantici, a non aver fretta di arrivare a connotare quello che vogliamo dire ma, piuttosto, circumnavigarlo. Ma siccome quando ripariamo la distanza tra la mente e il corpo svegliamo anche la nostra anima bambina, direi, più semplicemente, quelle poche parole, che nascono dal silenzio e che non turbano quel silenzio da cui sono nate. Quelle poche parole che descrivono, come un pennello con tratti incerti, cosa sentiamo. Abbiamo bisogno di cercarle quelle parole perché è solo quando sappiamo già di cosa parliamo che le parole corrono in fila veloci. La parole della riparazione, quelle che riportano la mente al corpo, sono incerte e traballanti come i primi passi di un bambino.
Poi la quiete. Il punto in cui quelle parole ci hanno detto l’unica cosa che potevano dirci davvero: ti voglio bene così come sei.
Dobbiamo rassicurare il nostro bambino interiore che, sebbene la paura sia reale non ha più alcun fondamento. Thich Nhat Hanh
Pratica di mindfulness: La pratica di gentilezza amorevole della mattina
© Nicoletta Cinotti 2021 Reparenting ourselves