
L’ultima definizione di mindfulness che ho sentito da Jon Kabat-Zinn ha illuminato la mia giornata. La mindfulness è relazionalità. Una relazionalità che nasce dall’aver esplorato, rimanendo intimi per poter esplorare. Quell’esplorazione ha dato un apprendimento e quell’apprendimento ci ha fatto crescere.
È così che siamo guariti. Guariti non perché siamo tornati quelli di prima della nostra diagnosi – di malattia, di depressione, di ansia o chissà cos’altro – guariti perchè abbiamo cambiato la qualità della relazione con noi. Invece che giudicarci abbiamo ascoltato, invece che migliorarci abbiamo fatto spazio. Invece che andare altrove siamo rimasti e abbiamo permesso che avvenisse il miracolo dell’intimità. Un miracolo che nasce dal contatto e che va oltre la superficie delle cose.
Un miracolo che svela gusti e sapori. Un miracolo che viene solo lambito dalle parole ma cresce e si coltiva nel silenzio. Un miracolo perchè non è fatto di sforzo ma è solo impastato nell’intimità. L’intimità è come la farina: può essere una leggera polvere bianca sparsa sulla superficie, giusto perché nella cottura non si attacchi oppure può essere un pane che abbiamo impastato, scaldato con le mani e infornato. Potremmo credere che questo richieda troppo tempo. Che nella nostra vita ci sia solo lo spazio della macchina del pane. Perché barattare la vita per la velocità? Perchè non darci il tempo di crescere. un tempo che non richiede azioni. Solo relazionalità. Solo avere una saggia relazione con noi e il mondo proprio mentre siamo in relazione con noi e con il mondo.
Eppure non ha senso
rimpiangere il passato,
provare nostalgia per quello che crediamo di essere stati.
Ogni sette anni si rinnovano le cellule:
adesso siamo chi non eravamo.
Anche vivendo – lo dimentichiamo –
restiamo in carica per poco. Antonella Anedda
Pratica di mindfulness: Aprirsi al panorama
© Nicoletta Cinotti 2022 La cura del silenzio. Ritiro di mindfulness e bioenergetica