
In questa settimana finiscono i protocolli della sessione autunnale. Un bagno di saluti che preparano alla stagione di cambiamento di fine anno. Per me è la degna chiusura dell’autunno: il rito di passaggio che rinnovo ogni autunno. Il mio lavoro è strano perché ti porta ad amare e salutare proprio perché hai amato. È così anche nella terapia individuale: nella vita le storie durano perché vanno bene. Nella psicoterapia invece le relazioni finiscono perché vanno bene, una grande disciplina del non attaccamento. Una pratica del lasciar andare che mi insegna a rimanere come gli alberi in autunno. Ci salutiamo con la promessa di rivederci, con la consapevolezza che ar-rivederci è un modo per rendere più dolce il saluto e un augurio: l’augurio della primavera.
Sullo sfondo della lavagna (chissà se qualcuno la legge) la frase di Eliot “Nella fine è il mio inizio”. La scrivo perché, nel salutare, mi chiedo come andrà il loro inizio della pratica individuale. So che abbiamo viaggiato insieme e che, nello stesso tempo, il nostro viaggio è stato – come tutti i viaggi – solitario. C’è una storia tratta dal Talmud in cui un rabbino chiede ai suoi studenti “Da cosa capite che è giunto il primo attimo dell’alba?” che dentro di me diventa “Da cosa capisco che se questo sarà il momento di inizio della pratica?” Gli studenti rispondono in tanti modi diversi ma nessuno soddisfa il rabbino che alla fine risponde “Sapete che l’attimo iniziale dell’alba è giunto quando guardate negli occhi di un altro essere umano e vedete voi stessi”.
Anch’io mi rispondo così perché il protocollo è proprio questo: lavoriamo per aprire la consapevolezza, per risvegliare il corpo, per padroneggiare l’attenzione, per aprire la mente e vedere fuori dagli schemi che intrappolano la nostra vita. Ma il vero inizio della pratica è quando sappiamo riconoscere la nostra comune condivisa umanità. Quando il gruppo smette di essere numeroso e diventa unito. Quando smette di litigare per il posto perché ha capito che ognuno ha il proprio posto. Quando ci rendiamo conto che ognuno di noi ha una storia individuale ma che le nostre storie condividono gli stessi dubbi e le stesse paure che condivise perdono lo spigolo acuminato che ci ferisce. Cerchiamo soluzioni quando invece – quello che cura – è sentire che c’è spazio per appartenere, a prescindere dalle circostanze. Quando sentiamo che niente offusca le qualità della nostra mente mente originaria, che nulla diventa ragione di esclusione dalla famiglia delle cose e che i nostri guai – grandi o piccoli che siano – non sono solo nostri ma appartengono. Quando ci rendiamo conto che non prendiamo spazio perché gli altri ce lo tolgono ma perché non riusciamo a vederci negli occhi dell’altro. Perché non riusciamo a veder l’alba.
Così so che ci rivedremo, so che davvero la pratica avrà inizio alla fine del protocollo, quando non sarà stato solo un modo di risolvere i nostri problemi personali ma un modo per tornare a viaggiare insieme ad altri, fedeli a se stessi.
Sapete che l’attimo iniziale dell’alba è giunto quando guardate negli occhi di un altro essere umano e vedete voi stessi. dal Talmud
Meditazione live: Inizio e fine
© Nicoletta Cinotti 2018 Il protocollo MBSR