
Nell’arco dei trent’anni di lavoro come psicoterapeuta ho assistito – in pratica – a cosa significa che la psiche è storica. Nessuno dei pazienti di oggi porta problematiche simili a quelle dell’inizio della mia professione. La tipologia e la frequenza di certi disturbi è variata significativamente; si chiede alla terapia una velocità di risposta che poco le appartiene e soprattutto si assiste ad una sorta di inefficacia dell’interpretazione narrativa a favore dell’efficacia di una risposta esperenziale. Sono cambiate le patologie e quindi ci viene chiesto di cambiare la modalità di risposta: la nostra fedeltà alla teoria clinica deve diventare una fedeltà alla cura.
La storia dell’evoluzione dei concetti e delle tecniche dell’analisi è la storia dei fallimenti terapeutici. Questo è riscontrabile in ogni campo della ricerca scientifica, non escluse la psichiatria e le discipline ad essa collegate. Ogni progresso si realizza attraverso l’identificazione di un problema che altri metodi di analisi e di trattamento non erano riusciti a comprendere e a risolvere. Alexander Lowen
Il registro narrativo e il registro esperenziale
La nostra mente ha due registri che corrispondono a forme diverse di memoria: il registro narrativo – che costruisce storie coerenti su noi stessi – e il registro esperenziale – che si attiva attraverso le memorie implicite. Il nostro registro narrativo ama le spiegazioni e, se sono spiegazioni adeguate, la consapevolezza di quello che è successo può darci la capacità di cambiare direzione. Le memorie implicite però non sanno che farsene di una storia. Si attivano e ri-attivano grazie a situazioni stimolanti, ad eventi trigger e poi procedono con una forza primordiale, animale. Hanno un registro poetico (non in senso lirico) perchè percettivo e possono cambiare solo se accettiamo di parlare la loro stessa lingua: il linguaggio del corpo ma, anche se può sembrare stranissimo, il linguaggio della poesia. Perchè la poesia ha un linguaggio percettivo.
Se scriviamo una poesia su qualcosa che ci ha fatto arrabbiare invece di restarci dentro come uno che sta dentro i tuoni e i fulmini di un temporale, La collera svanirà. E se la scriveremo su qualcosa che ci fa paura, ci aiuterà a superarla. I bambini, con il loro istinto misterioso, lo sanno e, poiché spesso hanno paura, amano scrivere poesie sulla paura, come questa.
Il Lupo
Sento muovere il letto. Un lupo grande come la parete mi schiaccia
Il mio cuore si appallottola e diventa il puntino della i.
Il mio respiro è ghiacciato
Mi arrotolo e divento una palla di paura. In La poesia salva la vita di Donatella Bisutti
Declinare le parole: la differenza tra notare ed entrare in contatto
In bioenergetica l’aspetto principale è legato all’entrare in contatto con il blocco psico-fisco, con le tensioni e con la loro espressione corporea. Non tutti i pazienti possono farlo. Quando il vissuto emotivo legato al blocco è stato troppo forte, entrare in contatto può ri-traumatizzare e riaccendere una memoria implicita difficile da gestire. È a questo punto che si potrebbe essere tentati di entrare nel registro narrativo e dare una spiegazione di quello che avviene. A questo punto invece, è importante trovare un modo per rimanere nell’esperienza e la mindfulness ce ne offre la possibilità. Invitando a notare le sensazioni stabiliamo una qualità di contatto che non ha la caratteristica dell’identificazione. Essere in contatto o notare hanno la stessa differenza che c’è tra nuotare in mare e stare sulla spiaggia a guardare il mare. Non nega nessun elemento del panorama ma permette una esperienza in cui non siamo totalmente dentro quello che ci ha spaventato. In quel momento usiamo la consapevolezza duale della nostra mente a nostro favore.
L’autocritica e la consapevolezza duale
La nostra mente funziona per polarità. Siamo dentro e, contemporaneamente, siamo capaci di osservarci dall’esterno. È in questo punto che rischiamo di inserire sentimenti patologici come la vergogna e il senso di colpa. È la possibilità di questa consapevolezza duale che ci rende possibile vivere un dolore e criticarci perchè siamo addolorati. Notare l’esperienza che stiamo vivendo ci permette – invece – di descriverla e contemporaneamente viverla. Offre quindi una straordinaria possibilità: riunire quello che è diviso e restituire senso di integrità. Non vergogna o senso di colpa ma capacità di contenere l’esperienza senza esserne invasi o sopraffatti. La possibilità di essere bioenergeticamente nel corpo e, contemporaneamente mindful, presenti, a quello che avviene. Lo scopo della terapia va oltre lo sciogliere le tensioni muscolari. Diventa il processo dell’essere in contatto, insieme al provare sentimenti di comprensione, di compassione per la parte di noi ferita. Non basta che li provi lo psicoterapeuta: è necessario che li provi il paziente.
Rimanere qui invece che andare lì
La psicoterapia solleva un dilemma: i traumi, le difficoltà di oggi sono nate nel passato. Spesso in un passato remoto, qualche volta in un passato prossimo.
Il dilemma è come fare a rimanere presenti parlando di cose che sono accadute nel passato?
La memoria riattiva le parti infantili che hanno vissuto quell’esperienza. Per rimanere presenti abbiamo – di nuovo e ancora – bisogno di tornare a come ci fa sentire parlarne proprio ora, proprio in questo momento. Lasciare che il paziente entri totalmente nella ri-attualizzazione del passato non aiuta. Non gli consente di sviluppare una posizione diversa e più matura. Il mito della catarsi che si verifica quando riviviamo completamente il nostro passato è, per l’appunto, un mito. Rivivere il trauma comporta ripetere e rinforzare la risposta traumatica: non porta alla liberazione ma alla ripetizione. Sottolineare gli aspetti di dialogo tra passato e presente consente, invece di mantenere un radicamento nella realtà. Così lo psicoterapeuta cambia posizione: non è più Virgilio che accompagna Dante nei gironi infernali. È testimone presente della sua esperienza, con il compito di ancorare il paziente al presente, per ricordargli una semplice realtà: hai già superato quella difficoltà e quello che provi adesso sono gli esiti cicatriziali.
Ritrovare la parola
La psicoterapia tradizionale parte dall’idea – errata – che le persone abbiano parole per descrivere il loro dolore. Non è vero: il dolore distrugge la parola e solo con la cura la parola torna al suo posto, alle sue capacità espressive. Se vuoi sapere quanto è profondo e irrisolto il dolore di una persona chiedigli di descriverlo. Indipendentemente dalla sua cultura usciranno solo balbettii. Ti dirà che non ci sono parole. È vero: nel momento in cui viviamo un trauma perdiamo la facoltà di parlarne e ricostruire la facoltà di parlarne non significa ricostruire una storia.
I dati della scansione cerebrale durante il richiamo di eventi traumatici dimostrano chiaramente che il ricordo traumatico evoca un terrore inesprimibile ed esperienze al di là della parole, non una narrazione nitida che può essere verbalizzata (…) la narrazione dei ricordi dà luogo ad una attività corticale inibita che comprende l’inibizione dei centri del linguaggio espressivo nell’emisfero sinistro, lasciando il soggetto “senza parole”. Janina Fisher
Anche se può sembrare un’affermazione forte la psicoterapia progredisce man mano che i pazienti ritrovano il loro corpo e ritrovano le loro parole. Se ritrovi il corpo ritrovi anche le parole – non solo narrative – del corpo.
Lo psicoterapeuta come insegnante di ginnastica e poesia
Il paziente perde le parole per descrivere la sua esperienza perchè ha perso il collegamento con la sensazione del corpo. Allora bisogna scendere dalla poltrona e mettersi in gioco: disegnare prospettive per ristabilire la connessione con il corpo e sostenere il processo di ri-costruzione del linguaggio. Attraversare insieme il buio chiudendo entrambi gli occhi, attraversare insieme le lande desolate del corpo abbandonato dalla consapevolezza tenendo un’ancora fissa al presente che testimonia che, da quella landa siamo usciti, e siamo sopravvissuti.
Laddove una persona abbia sofferto per una carenza di sicurezza nelle fasi precoci della vita, ciò di cui ha bisogno nella terapia non è solo di analisi ma dell’opportunità e dei mezzi per acquisire questa sicurezza nel presente. Alexander Lowen
La parola insegnante è un po’ rivoluzionaria nella stanza della psicoterapia perchè ci hanno detto che il paziente non deve ricevere né consigli né suggerimenti. I pazienti invece chiedono spesso “cosa devo fare?”La risposta è quella che darebbe un buon insegnante. Quando la mia maestra mi ha insegnato a scrivere non ha scritto al posto mio: mi ha fatto vedere i passaggi di questa scrittura e, con questi passaggi, un giorno, quasi improvvisamente devo dire, ho imparato a scrivere. Ecco credo che la psicoterapia sia così: andare a scuola, trovare un buon insegnante che si diverta ad insegnarci come fare a scrivere la poesia della nostra vita.
© Nicoletta Cinotti 2018
Mindfulness e Self-compassion tra psico-educazione e clinica
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