
Se pensiamo alla nostra storia di vita, se ci guardiamo indietro, è inevitabile scorgere delle ripetizioni. A volte sono ripetizioni fortunate. Altre volte sono il ripetersi dello stesso problema. Litighiamo sempre sulle stesse cose, ci sembra di incontrare sempre le stesse persone o di avere sempre lo stesso tipo di problemi.
In genere diamo una risposta a questo genere di constatazioni: in me c’è qualcosa che non va. Qualcosa di rotto che andrebbe aggiustato. Un po’ come quando non funziona la carburazione della macchina e la portiamo dal meccanico. Molte psicoterapie iniziano così, con la ricerca del pezzo rotto, dell’anello mancante nel processo di sviluppo. E finiscono anche così perché malgrado si sia capito dov’è il pezzo rotto, come mai è rotto, tutta questa comprensione non produce un reale cambiamento. Spesso non produce un reale cambiamento perché ci rifiutiamo di provare di nuovo, di rischiare di nuovo. Molte persone dicono che hanno bisogno di capire prima di fare qualcosa. Non è vero: molte persone usano questa come una scusa per rimandare il momento in cui si metteranno di nuovo in gioco. Perché il punto – per ogni tipo di cambiamento – è mettersi di nuovo in gioco, smettere di evitare.
Nella stanza protetta della psicoterapia beneficiamo dell’attenzione ricevuta, dell’affetto provato, dei saggi consigli e dell’amorevole accoglienza ma quel pezzetto rotto se ne sta lì, stavolta in bella mostra, come un reperto archeologico del Museo. Certamente abbiamo il conforto di capire bene se e quanto e come ripetiamo lo stesso errore ma non facciamo un passo diverso. Non dico avanti o indietro: un passo diverso.
Allora proviamo a vedere le cose da un’altra prospettiva. Se invece che essere rotti fossimo solo incastrati? Se fosse l’essere incastrati che ci fa ripetere esattamente le stesse storie?
Qualche anno fa uscì sui giornali locali la storia di un sub che era rimasto incastrato in una grotta vicino a Portofino. Non c’era niente che lo bloccasse. Solo che, una volta entrato, aveva perso l’orientamento e non era riuscito a ritrovare la via d’uscita. Ecco il nostro incastro funziona abbastanza così. Siamo entrati in un’area in cui tendiamo a cercare la via d’uscita nella direzione sbagliata. Cerchiamo di riparare il passato e invece abbiamo bisogno di lasciarlo andare. Crediamo di essere sbagliati noi e,invece, semplicemente c’è stato un errore.
Abbiamo bisogno di lasciar andare la storia che abbiamo scritto su di noi. Cerchiamo di riparare noi e invece abbiamo solo bisogno di ammettere che dagli errori si impara e che, senza sbagliare, non si impara nulla. Il rischio peggiore che corriamo è quello di trasformare quell’errore in un evitamento esperenziale. Ho avuto paura a guidare in autostrada? Non vado più in autostrada. Ho fallito nella mia relazione? Non rischio più con altri uomini o altre donne. Riduciamo così la nostra vita progressivamente ad un francobollo.
Per evitare l’errore, il dolore, il fallimento evitiamo tutto quello che è fonte di nuova esperienza.
Trasformiamo quell’errore in una definizione su di noi e non c’è modo migliore per ripeterlo che dirsi”…io sono fatto così”. Noi non siamo “fatti così”.
In ogni momento c’è una via d’uscita, diversa. Spesso basta notare quello che è presente e poi lasciarlo andare. Nessuna lotta, nessun errore: c’è quello che c’è, lo riconosciamo e non ci identifichiamo. Non lo trasformiamo in una struttura.
Il vero pericolo è che, per evitare di sbagliare di nuovo, evitiamo di provare di nuovo. Ci dimentichiamo che non siamo rotti: siamo solo incastrati.
I fiumi di montagna cantano perché sono ostacolati dalle pietre che incontrano. Anche la nostra vita è così: diventa rumorosa quando incontra un ostacolo. Crescere, invece, è silenzioso. Nicoletta Cinotti in Scrivere la mente in uscita il 17 Ottobre
Pratica di Mindfulness: Il panorama dei pensieri
© Nicoletta Cinotti Scrivere la mente