Quando iniziamo qualcosa di nuovo spesso abbiamo l’idea che il processo di apprendimento sia una linea esponenziale di crescita. La immaginiamo procedere in diagonale con una linea costante . Una crescita che, se non avviene con il ritmo che ci aspettiamo, può essere vissuta come molto frustrante.
Quello che avviene mentre impariamo la pratica di mindfulness invece è molto di più un andamento ciclico con avanzamenti e ritorni indietro, come mostra la linea curva del grafico, che non un processo esponenziale.
Iniziare
All’inizio la pratica può essere difficile perché è necessario occuparci dell’irrequietezza o del torpore della mente e del corpo. Gli impedimenti alla consapevolezza, ossia le nostre difese, ci assalgono e ci distolgono continuamente, oltre al torpore e all’irrequietezza anche dubbi di vario genere e intense avversioni o desideri possono comparire proprio nel momento della pratica, tanto da farci pensare che sia impossibile procedere.
E’ importante mantenere il nostro coraggio e la nostra determinazione per non farci scoraggiare dalle difficoltà: imparare qualcosa di nuovo è un processo in buona parte imprevedibile soprattutto se procede in modo controintuitivo come accade nella mindfulness. Non si tratta di un apprendimento teorico ma esperenziale e presuppone il recupero di capacità innate ma molto impolverate come l’attenzione non divisa, la curiosità, la presenza mentale senza fratture.
Iniziare dal corpo
Il corpo in questi inizi è essenziale. Tanto più il corpo è vivo e presente, tanto più la pratica diventa facile. Quindi una parte dell’attenzione è proprio tesa a risvegliare il corpo da quello stato di rumore di sottofondo in cui si trova per la maggior parte del tempo. Per questo il lavoro corporeo è di grande aiuto: scioglie le tensioni che distraggono durante la pratica e ci permette di comprendere la relazione tra i processi corporei e i processi di pensiero. Arrivare al corpo può essere un percorso lungo per alcune persone, molto immediato per altre. Il punto di partenza è lo stesso: ammorbidire il corpo e permettere a blocchi e tensioni di sciogliersi. Questo permetterà di passare dal “dolore del corpo” legato alla posizione o alle tensioni, a ciò che ci occupa in profondità trovando in mezzo, ampie aree di calma e serenità.
Inoltre, mano a mano che la nostra confidenza con il corpo aumenterà, sarà più facile anche seguire il respiro nei suoi singoli movimenti. La stabilità del corpo ci permetterà di comprendere meglio l’instabilità della mente che è parte della nostra natura. Nella pratica non eliminiamo i pensieri ma, rendendo il corpo più stabile, li osserviamo senza farci trascinare.
L’osservazione
Quando il corpo è più stabile aumenta la nostra possibilità di concentrazione, che altro non è che un’attenzione integra, non frammentata in diverse fonti e in diversi stimoli. E’ un processo graduale e molto soggetto ai nostri sbalzi d’umore. A volte può essere semplice rimanere presenti, in altri momenti, anche dopo anni di pratica, può essere come stare in una giostra o in un circo!
Questa qualità di concentrazione è però l’ingrediente fondamentale per accrescere un senso di calma e stabilità interiore anche di fronte alle difficoltà. E, di nuovo, non è necessario arrivare ad essere totalmente concentrati per iniziare ad osservare ciò che accade, nel momento in cui accade, senza attivare avversione ma solo curiosità.
Questo aspetto della pratica ci rende simili ad un giardiniere: osserviamo, facciamo piccoli aggiustamenti qua e là e prima di fare semine o potature aspettiamo il momento giusto. In questo modo la nostra attenzione, oltre che più costante, diventa più sottile.
Nel riportare la mente dal suo vagare possiamo iniziare ad accorgerci che quello che ci sembrava un’esperienza “solida” in realtà è composta da molte sfaccettature e questo porta quell’apertura della prospettiva che inizia a farci definire diversamente molti aspetti della nostra vita. Possiamo così cogliere il “lato buono” anche delle cose più dolorose e riconoscere aspetti inesplorati di ciò che ci sembrava solo positivo. Questa nuova posizione conduce ad una dis-identificazione dall’esperienza che è un aspetto fondamentale della nostra relazione con il dolore.
La nostra relazione con il dolore
Spesso maturiamo distanza dalle nostre esperienze emotive perché non riusciamo a non identificarci eccessivamente con ciò che accade. Questa però non è affatto una soluzione ma una posizione che è responsabile di molto del proliferare dei nostri pensieri. Lo facciamo come misura sostitutiva della nostra difficoltà a non identificarci con ciò che accade. L’esperienza infatti spesso diventa una definizione restrittiva di noi. Il punto è che le cose accadono e non ci definiscono se noi non glielo permettiamo. Noi non siamo il nostro dolore, ma sperimentiamo dolore. Non siamo la nostra rabbia ma proviamo rabbia. Questo passaggio di non – identificazione è una vera rivoluzione copernicana nella pratica. E ci permette di diminuire la nostra avversione nei confronti di ciò che accade. Spesso lo rifiutiamo, infatti, proprio perché lo sentiamo come una definizione di noi. Noi non siamo ciò che ci accade: lo sperimentiamo. Tutto qui!
Aprire
A questo punto possiamo andare più in profondità attraverso la pratica e aprire, per entrare più profondamente nel corpo, per comprendere più profondamente i movimenti della mente, i nostri schemi psicologici e connetterci al processo stesso del vivere e al suo flusso. Possiamo dimorare in questo flusso ed esplorare aspetti che sono tutt’altro che solidi della nostra esperienza. Aprire non è più solo un movimento del corpo e della mente ma anche del cuore che, come il respiro, ha ritmi di apertura e chiusura, di dolore e gioia, di luce e fioritura, di oscurità e riposo.
Così se l’osservare ci ha condotto verso l’apertura del corpo possiamo adesso muoverci verso l’apertura della mente e del cuore. Un cuore che. proprio come un fiore, non può essere forzato ad aprirsi.
[inlinetweet prefix=”null” tweeter=”” suffix=”null”]L’umida pioggia della gentilezza, la gentile alba dell’attenzione sono elementi di nutrimento e guarigione del cuore. [/inlinetweet]Joseph Goldstein, Jack Kornfield
Aprire può essere difficile perché abbiamo chiuso per proteggerci dal dolore. Aprire quindi può farcelo incontrare di nuovo e, in ogni caso, significa percorrere la strada opposta all’evitamento: una strada che spesso è la via principale della nostra vita.
Per aprire il cuore e la mente abbiamo bisogno di una capacità di osservazione delicata e senza paura: significa non tirarsi indietro ma rimanere pienamente presenti alla nostra esperienza. Spesso comporta il riconoscere la ripetitività dei nostri schemi di risposta e la loro inutilità a proteggerci veramente. Possiamo accorgerci che più che i pensieri il vero ostacolo sono il nostro umore e i sentimenti di paura, rabbia, preoccupazione, resistenza o solitudine che suscitano.
Stare, essere
Infine siamo in quello che potremmo definire il quarto livello della pratica – dopo iniziare, osservare, aprire – ossia dimorare, stare, essere presenti.
In questo momento possiamo dimorare in ciò che sperimentiamo senza essere trascinati, possiamo cogliere la relazione tra gioia e dolore, approvazione e disapprovazione, lode e biasimo, guadagno e perdita e accorgerci che la felicità sta non in ciò che accade ma in come ci relazioniamo a ciò che accade. Noi non siamo ciò che ci succede – non è un premio né una punizione per i nostri comportamenti – ma solo un “evento atmosferico” che non turba il nostro essere pienamente vivi. Non possiamo controllare questo processo, non ne siamo i proprietari e finalmente possiamo fermarci perché possiamo vedere noi stessi e la natura delle cose.
[inlinetweet prefix=”null” tweeter=”” suffix=”null”]Nulla esiste ma è momentaneamente presente nella sua forma e nel suo, colore. Una cosa fluisce nell’altra e non può essere afferrata.[/inlinetweet] Suzuki Roshi
Tutto questo accade in un attimo
Forse possiamo aver pensato, leggendo, che tutto questo accada in anni e anni di pratica. Forse è vero. Io credo, più semplicemente, che tutto questo accada in un attimo: nell’attimo in cui pratichiamo.
© Nicoletta Cinotti 2015
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