
C’è una frase negli scritti di Santa Teresa che è stata usata come epigrafe per una raccolta di poesie di Tess Gallagher, la mia cara amica e compagna. “Le parole conducono ai fatti(…) Preparano l’anima, la rendono pronta e la portano alla tenerezza” .
Così espresso, questo pensiero è limpido e bellissimo. Lo ripeterò un’altra volta perché, in un sentimento portato alla nostra attenzione a questa distanza, in un’epoca che è sicuramente meno disponibile a sostenere questo importante collegamento tra ciò che diciamo e ciò che facciamo, c’è anche qualcosa di strano, di esotico:” Le parole conducono ai fatti (…)Preparano l’anima, la rendono pronta e la portano alla tenerezza“.
C’è qualcosa che è più misterioso, per non dire – perdonatemi – addirittura mistico, in queste parole e nel modo in cui Santa Teresa le usa, con tutto il peso e la convinzione che ci mette. È proprio vero, ci rendiamo conto, che esse sembrano quasi l’eco di un’epoca passata e più riflessiva. In particolare l’uso della parola anima, un termine in cui non ci imbattiamo molto spesso oggigiorno se non nell’ambito religioso e magari nella sezione di musica nera di un negozio di dischi.
Tenerezza – ecco un’altra parola che non sentiamo tanto spesso oggigiorno e specialmente in un’occasione pubblica e gioiosa come questa. Pensateci un’attimo: quando è stata l’ultima volta che l’avete usata o l’avete sentita usare? È altrettanto rara quanto l’altra parola anima. Nel racconto di Chechov, Il reparto n°6, c’è un personaggio stupendamente delineato che per quanto ricoverato nel settore dell’ospedale riservato ai malati di mente ha assunto l’abitudine di praticare una particolare specie di tenerezza. “A Mojsèjka piace rendersi utile. Porta l’acqua ai suoi compagni, li copre quando si addormentano; promette a ciascuno di portargli un copeco o di fargli un berretto nuovo; è lui che imbocca con il cucchiaio il suo vicino di sinistra che è paralizzato“.
Anche se la parola tenerezza non è usata esplicitamente, ne sentiamo la presenza nei particolari che ci vengono descritti, persino quando Cechov tenta in seguito di negarla in questo commento sul comportamento di Mojsèjka “Agisce così non per compassione né per qualche considerazione di tipo umanitario, ma per imitazione, inconsapevolmente dominato da Gromov, il suo vicino di destra“.
Attraverso un’alchimia stuzzicante, Cechov combina parole e fatti per farci riflettere sull’origine e sulla natura della tenerezza. Da dove viene? Come azione, commuove ancora il cuore, persino quando è astratta da motivazioni umanitarie?
In qualche modo questa immagine di un uomo isolato che compie atti di gentilezza senza aspettarsi niente in cambio e senza neanche rendersene conto, ci rimane davanti come una strana cosa bella a cui siamo chiamati ad assistere. Può persino riflettere sulle nostre vite il suo sguardo interrogativo.Nel Reparto n. 6 c’è anche un’altra scena in cui due persone, un medico disilluso e un arrogante alto funzionario postale, più anziano, si trovano all’improvviso a discutere sull’anima umana.
“E così lei non crede nell’immortalità dell’anima”, chiede d’un tratto il funzionario postale. “No, egregio Michail Averjanync; non ci credo e non ho alcun motivo per crederci”. “Debbo riconoscere che anch’io ne dubito”, ammette Michail Averjanync. “Eppure ho come la sensazione di non dover mai morire. Oh, a volte penso tra me e me: vecchio relitto, dovresti essere già morto! Ma poi sento una vocina nell’anima che dice: Non dar retta, tu non morirai”.
La scena finisce, ma le parole rimangono nell’aria come azioni. Nasce una vocina nell’anima che parla anche a noi. E anche il modo in cui abbiamo forse bandito dalla nostra mente certe idee sulla vita, o sulla morte, cede il colpo e inaspettatamente il passo a una fede, magari di natura fragile ma insistente.
Molto tempo dopo che quello che vi ho detto vi sarà passato di mente, tra qualche settimana oppure tra qualche mese, e l’unica sensazione che vi rimarrà sarà quella di aver partecipato ad una grande riunione pubblica, quando noterete la fine di un importante periodo della vostra vita e l’inizio di uno nuovo, nell’elaborare i vostri destini personali, provate a ricordare che le parole, quelle giuste, quelle vere possono avere lo stesso potere della azioni. E ricordatevi anche quella parola poco usata che è quasi sparita dall’uso, sia in pubblico che in privato: tenerezza. Non potrà farvi male. E quell’altra parola: anima, o chiamatela spirito, se preferite, se vi rende più facile rivendicare quel territorio. Non scordatevi neanche quella. Fate attenzione allo spirito delle vostre parole, delle vostre azioni. E’ una preparazione sufficiente. Non c’è bisogno di altre parole.
© Raymond Carver nel suo ultimo discorso pubblico tenuto il 15 Maggio 1988 per la rubrica “Addomesticare pensieri selvatici”
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