
Nei protocolli mindfulness l’esplorazione è diversa dall’indagine psicologica classica. È una forma di inquiring che nasce dall’essere nell’esperienza in corso per esprimerla nelle caratteristiche salienti. Non è una interpretazione di ciò che accade: è piuttosto una immersione in cui vengono descritte la sensazione fisica e la sensazione emotiva con le loro caratteristiche energetiche, di localizzazione corporea, di variabilità emotiva associate all’esperienza e gli eventuali processi di pensiero. In questo modo è più facile ricostruire come, a partire dal corpo, si formano pensieri e concetti. A questo punto, se durante la pratica riusciamo ad esplorare l’esperienza, finita la pratica possiamo prendere qualche nota scritta. Non tanto un resoconto di quello che abbiamo provato ma una descrizione precisa ed essenziale delle sensazioni fisiche, emotive e delle categorie a cui appartengono i nostri pensieri (passato, presente, dialoghi, fuga, corpo). Invece di una narrazione vengono fuori le tessere di un puzzle che si compone in maniera inaspettata, offrendoci nuovi e più ampi significati.
Che differenza c’è – ti chiederai – tra fare un protocollo e meditare in modo auto-organizzato? Il protocollo dà le basi, getta le fondamenta e la struttura su cui impostare il tuo personale lavoro di auto-esplorazione. Senza queste basi la meditazione fa bene ma non riusciamo a dirigere il nostro impegno per far sì che la meditazione non solo ci faccia bene ma ci faccia anche crescere. La meditazione autogestita – se non ha avuto prima una solida impostazione – è un modo per calmarsi. Sviluppa cioè una delle qualità base della meditazione – shamata – ma non l’altra, vipassana, visione profonda. È la visione profondo di noi che produce il cambiamento. Shamata, calmarsi, serve per permetterci di vedere più chiaramente ma poi andiamo oltre e la chiara visione illumina il tratto successivo di strada. Questo avviene imparando ad esplorare – attraverso la pratica e attraverso l’inquiring – il nostro modo interno.
Ma che differenza c’è tra la mindfulness e le altre meditazioni? La maggior parte delle pratiche meditative ha un obiettivo trascendente, orientato primariamente alla crescita spirituale all’interno della tradizione di appartenenza.
La mindfulness, così come viene praticata nei protocolli MBSR, è una pratica immanente: ti aiuta ad entrare dentro la tua vita e non a scapparne. E, visto che a volte entrare dentro la propria vita non è un viaggio riposante, ti offre strumenti di cura per farlo, al di fuori di qualunque tradizione religiosa o spirituale. È laica nel senso più nobile del termine: rispetta le convinzioni religiose o spirituali, qualunque queste siano. La nostra mente è un tesoro: se non la conosciamo può diventare un labirinto in cui perdersi e, a volte, arriva ad essere il nostro peggiore nemico. Meditare è un modo per leggere la nostra mente e, una volta letta, andare, come dice poeticamente Saramago, andare all’altra sponda.
C’è chi passa tutta la vita a leggere senza mai riuscire ad andare al di là della lettura, restano appiccicati alla pagina, non percepiscono che le parole sono soltanto delle pietre messe di traverso nella corrente di un fiume, sono lì solo per farci arrivare all’altra sponda, quella che conta è l’altra sponda. José Saramago (citazioni da Scrivere la mente)
Pratica di mindfulness: La consapevolezza del corpo
© Nicoletta Cinotti 2020 Il protocollo MBSR Online