
Mi capita spesso di sentirmi domandare quanto deve durare la pratica. Domanda che mi viene rivolta tanto più ci si avvicina – come adesso – alla fine del protocollo.
Mi piacere rispondere con una frase che ho sentito da Joseph Goldstein, uno dei maggiori maestri di Dhamma americani. Inizia a meditare per un minuto, e dopo un minuto senti se vuoi meditare un minuto ancora e così via, minuto dopo minuto. Amo molto questo approccio perchè diffido della pratica condotta con severità. La pratica è, prima di tutto, un atto d’amore nei confronti di noi stessi, e nessun atto d’amore può essere forzato. Diresti a tua moglie “baciamoci per 30 minuti, non uno di meno e non uno di più?” Spero proprio di no. Darci un tempo definito a priori può suscitare ansia, ribellione e una lunga lista di scuse sul perché non possiamo meditare in quel momento. Un minuto, invece, non si nega mai a nessuno. e minuto dopo minuto possiamo arrivare a mezz’ora senza accorgercene. Però, ad un certo punto ci fermiamo. Quando?
Mi viene in mente un’altra affermazione, di Jon Kabat Zinn, rispetto alla fine. Il suo invito è di esplorare come mai scegliamo di fermarci proprio in quel momento, senza trattenerci dal farlo. Senti l’impulso di interrompere la pratica: esplora cosa c’è in quell’impulso. Esplora la sensazione della fine con libertà, sapendo che niente e nessuno ti impedirà di fermarti: è solo l’atto di saluto. Potremmo però scoprire in quel saluto che è sorta ansia, o paura o che qualcosa stava venendo a galla e preferiamo tenerlo giù, in basso, perchè non disturbi (in realtà disturba di più così che se lo guardiamo ma di questo ne parleremo un’altra volta).
Questa consapevolezza dell’inizio e della fine è preziosa: interrompe l’automatismo e ci rende presenti. È una pratica nella pratica: possiamo portarla dentro la nostra vita in ogni momento. Quando ci apprestiamo a scrivere una mail e quando la inviamo. Quando saliamo sull’autobus e quando scendiamo. Quando passiamo una porta e quando ne usciamo.
Giusto per prendere confidenza con il fatto che la nostra vita non è eterna ma che l’eternità è dentro ogni attimo di presenza.
Perché dovrei smettere? Cercate di stabilirne la causa, forse fatica, noia, sofferenza, impazienza o è davvero il momento di porre termine alla meditazione? Comunque anziché alzarvi automaticamente e dedicarvi ad altro, cercate di coesistere con qualsiasi cosa sia emersa da questo interrogativo, respirando alcuni istanti o anche di più, facendo in modo che l’uscita dalla posizione meditativa sia contraddistinta dalla consapevolezza dei momenti successivi quanto la meditazione stessa. Jon Kabat Zinn
Pratica di mindfulness: La meditazione del fiume
© Nicoletta Cinotti 2019 Il protocollo MBSR Winter edition