
In questi giorni di quarantena, più volte, ho avuto in mente le cose che stavo perdendo. Le possibilità di lavoro, le occasioni di incontro, le uscite all’aria aperta. Ogni giorno praticavo un piccolo lutto per una piccola o grande perdita. È proprio vero che quando pratichi con la perdita ogni giorno arrivi sempre più vicino all’essenziale. A quello che, ti rendi conto, non puoi nemmeno immaginare di perdere.
Metti a fuoco contemporaneamente alla paura di perdere, anche quello che senti più vulnerabile e prezioso, Più transitorio e suscettibile di perdita. Così non sono stata preoccupata per i figli – che sono giovani e forti – ma ho sentito apprensione per mio marito come se la mia stessa vita dipendesse dalla sua. Noi che abbiamo fatto dell’indipendenza il nostro modo di stare insieme, abbiamo scoperto che, invece, temo di perderlo, temo di farlo uscire, temo di metterlo a rischio come se potessi, con il mio amore, farlo durare per sempre.
Lui mi guarda sorridendo. Sa che abbiamo sceso insieme milioni di scale e che lui è davanti a me. Non ha paura a scendere le scale. Sono io che non sono pronta. Che lo vorrei trattenere. Non per rimanere accanto a lui. No, per poter vivere la mia vita, libera, sapendo che quando torno lui c’è. Che ha fatto altre cose, visto altre persone, letto altri libri ma c’è. Allora capisco che c’è una solitudine che evito amandolo. La solitudine di quando non dici a te stessa, sono qui per te, ma aspetti che qualcuno te lo dica. Che ci sia qualcuno che ti aspetta. Perché, mi rendo conto, io non voglio salvarmi da sola. Io voglio salvarmi con lui.
Questo desiderio di salvarmi con lui mi aggrappa, come le mani di un bambino che non vuole andare all’asilo e si aggrappa alla mamma. Poi entra. Un attimo e si mette a giocare. Ma il momento in cui si salutano è il momento in cui entrambi, lui e la mamma, si rendono conto che sono soli. Che ognuno di noi vive una fresca solitudine da cui nasce l’incontro. Vorrei raccontarmi che sono davvero libera e che posso fare a meno di lui. Ma la fresca solitudine mi svela l’inganno e mi consente di guardare onestamente e senza aggressività alla realtà dei fatti. La mia sorella vincente è là, nel mondo, libera e sola, con coraggio. Io la guardo e mi domando quanto tempo ancora potrò rimanere aggrappata alla sua mano. Finalmente non invidio la mia sorella vincente. So che percorro la strada con onestà.
La fresca solitudine non fornisce soluzioni né ci rimette la terra sotto i piedi. Ci sfida ad entrare in un mondo senza punti di riferimento, senza dividerci né cristallizzarci. Tutto questo si chiama via di mezzo o via sacra del guerriero. Pema Chödrön
La pratica di mindfulness: Cullare il cuore o la pratica delle 8 su Zoom
© Nicoletta Cinotti 2020 Scrivere la mente online