
Non si finisce mai di imparare e, proprio per questo, di sorprenderci. Molti anni fa lessi un caso clinico, riportato da Masud Khan, che raccontava di un bambino che aveva nascosto in giardino due preziosi candelabri d’argento della sua famiglia, seppellendoli. Nessuno aveva capito dove fossero finiti e vennero fatte molte ipotesi. Molti anni dopo quel bambino, ormai cresciuto e in terapia con Masud (un originale principe pakistano diventato psicoanalista a Londra con grande successo, grande fascino e molta originalità clinica) disseppellì quei candelabri, riportandoli alla luce: ricordava benissimo dove li aveva messi. Seppellirli era stato il suo modo per proteggere una parte preziosa del suo Sé in un momento molto difficile della sua vita.
Ecco anch’io ho fatto una cosa simile, senza candelabri d’argento. Ho esiliato la parte di me più complicata per andare avanti e farmi la mia vita. Qualche tempo fa è tornata a trovarmi, durante la pratica. Ha bussato alla porta timorosa come fanno gli ospiti che non sanno se saranno ben accolti. Sono rimasta sorpresa, quasi non la riconoscevo: erano passati tanti anni da quando l’avevo vista l’ultima volta. Lei non era cambiata ma io sì e proprio per questo credevo che anche lei non esistesse più. Invece c’è ancora. Ha aspettato pazientemente che mettessi un po’ d’ordine nella vita, che facessi quello che dovevo fare, che facessi la donna impegnata e appena le è sembrato che si fosse aperto un varco è riapparsa. Mi è dispiaciuto averla fatta aspettare così tanto. Le sono grata per la pazienza che ha avuto con me. E abbiamo ripreso un dialogo, senza rivendicazioni. Non c’è nessuno da rimproverare: sappiamo entrambe che di meglio non avremmo potuto fare.
In quel territorio delle ombre dove lei è vissuta ci sono forse le parti esiliate di ciascuno di noi. Parti che aspettano il nostro ascolto. Parti che abbiamo allontanato perché troppo dolorose, troppo ribelli, troppo inadeguate. È vero: non possiamo far comandare la nostra vita dalle parti esiliate ma qualsiasi esilio deve avere un termine perché abbia avuto un senso. E il momento in cui termina l’esilio tutte le nostre forze, le nostre risorse iniziano a tornare insieme. A volte esiliamo delle parti di noi per stare con un uomo. A volte esiliamo delle parti di noi per stare da sole ( e lo stesso vale a ruoli rovesciati per gli uomini) ma prima o poi l’esilio deve finire per tornare quelle che siamo: intere. Nostre. Uniche.
Ho spiegato il mio abbandono
sul tavolo, come una mappa.
Ho disegnato l’itinerario
verso il mio luogo al vento. Alejandra Pizarnik
Pratica di mindfulness: Cullare il cuore
© Nicoletta Cinotti 2020 Reparenting ourselves