
Le cose importanti le ho imparate all’asilo
Le cose importanti della nostra vita le impariamo molto presto. Alcune prestissimo. Sono cose importanti perché lasciano un segno, una traccia che tendiamo a confermare nel tempo. Riguardano in modo prevalente come impariamo a gestire le emozioni e quanto bisogno abbiamo, per farlo, di rivolgerci ad un adulto disponibile. Riguardano anche, inevitabilmente che disponibilità abbiamo incontrato e quanto l’aiuto che abbiamo ricevuto è stato funzionale alla nostra crescita.
Questi aspetti emotivi rientrano in un’area che, in termine tecnico si chiama regolazione degli affetti e ruota attorno al ruolo centrale delle emozioni nello sviluppo sia per i processi psicologici che per i processi mentali. Ogni emozione infatti è portatrice di informazioni. Ci dice cosa sta succedendo a noi e cosa sta succedendo nella nostra relazione con l’ambiente in cui viviamo e struttura così sia i nostri pensieri che il nostro scenario interiore, il nostro mondo psichico. In questo senso non esistono emozioni buone e emozioni cattive: esistono emozioni che ci dis-regolano e altre invece che ci permettono di comprendere meglio noi stessi e il mondo. Ci permettono quindi di dare un significato a ciò che ci accade.
Emozione = informazione
Questa qualità informativa delle emozioni si realizza attraverso processi di autoregolazione e processi di regolazione interattiva, ossia scambi relazionali volti a consolare, riparare, attivare, le nostre risposte emotive. I processi di autoregolazione sono personali ed esprimono il nostro modo di affrontare, regolare e modulare le risposte emotive. Migliore è la nostra consapevolezza e più efficaci sono i nostri modi di regolare le emozioni. Regolare le emozioni non va confuso con il darsi delle regole: in psicologia la regolazione delle emozioni significa compiere due azioni, una connessa con l’altra. La prima azione è portare alla consapevolezza, la seconda è modulare, contando sulla padronanza di sé anziché sul controllo, le nostre risposte.
Per i bambini, tanto più se sono piccolissimi, la possibilità di auto-regolazione è ridotta e quindi hanno bisogno di rivolgersi ad un adulto per regolarle. È l’adulto che dovrebbe comprenderle e aiutare il bambino a calmarsi o ad attivarsi, a consolarsi o a divertirsi, nella maniera adeguata.
Dove si misura la salute della relazione?
Questi processi – di autoregolazione e regolazione interattiva – sono stati esplorati attraverso dei paradigmi di ricerca. Uno dei più importanti è il paradigma della Still Face di Ed Tronick. In questo esperimento, condotto con bambini di 4 mesi di età, la madre improvvisamente smette di giocare e di rispondere alle richieste del bambino. La reazione dei bambini è diversa ma l’attenzione del ricercatore non è solo sulle risposte dei bambini. È soprattutto su quanto tempo è necessario per calmare i bambini, dopo la sospensione delle comunicazioni. Più tempo è necessario per calmarli più significa che la relazione non è percepita come affidabile e sicura. Le sue ricerche evidenziano l’importanza della capacità di riparare gli inevitabili errori relazionali evidenziando che, in una interazione reale, madre e bambino trascorrono il 70-80% del tempo in uno stato di mancata sintonizzazione senza che questo sia un indicatore di patologia. La salute della relazione non è data tanto dal tempo trascorso nella sintonia, quanto nella capacità di avere una buona riparazione in tempi adeguati. Dal punto di vista clinico sappiamo anzi che una sintonizzazione eccessiva può addirittura essere alla origine dello strutturarsi di un disagio narcisistico (Sander 2007).Non solo: più un bambino ha genitori capaci di regolare in maniera adeguata gli errori relazionali più diventa in grado di autoregolarsi in maniera costruttiva.
Il problema quindi non è sbagliare: questa mi sembra una buona notizia. Il problema è non imparare dagli errori e non saper offrire quindi strumenti adeguati per la regolazione emotiva
La riparazione
Dalla riparazione nasce e si struttura un senso di intimità che permette di sentirci conosciuti e compresi. E’ proprio la dinamica di questo processo – di interazione, rottura e riparazione comunicativa e relazionale – che permette di introiettare una rappresentazione di Sé come capace di trasformare gli stati affettivi negativi in stati positivi. Quando questo avviene quello che sperimentiamo, a qualunque età, e’ una sensazione di padronanza di sé. Accanto a questa fiducia in se stesso, attraverso le riparazioni riuscite, il bambino sviluppa quella fiducia relazionale che lo può’ condurre verso un legame d’attaccamento solido e sereno. L’esperienza della riparazione e’ alla base della costruzione del legame anche nelle relazioni adulte. In questo caso la rottura e’ il momento in cui esprimiamo il nostro disagio e la riparazione e’ il momento in cui sentiamo che l’ altro ha compreso la nostra esperienza e ne usciamo entrambi arricchiti e rafforzati.
L’esperienza della riparazione è anche alla base dei nostri sentimenti sociali. Se abbiamo sperimentato la possibilità di riparazione dell’errore all’interno di una relazione ci sarà più facile avere comportamenti di condivisione e pro-attivi rispetto alla socialità.
D’altra parte sperimentare ripetute rotture della comunicazione con riparazioni parziali o/e inappropriate, porta il bambino a costruire un nucleo affettivo negativo caratterizzato da rabbia e tristezza e da una modalità ritirata nei confronti del mondo. Si assiste allo strutturarsi di modalità di ritiro o evitamento con tensioni o aree collassate che coinvolgono la zona degli occhi, le braccia e il livello generale di attivazione fino ad arrivare a situazioni di iper-attivazione o stati di dissociazione (1). Questo ritiro, accompagnandosi a sentimenti negati o nascosti, si esprime spesso con una mancanza più o meno grande di consapevolezza. Quante volte i nostri pazienti raccontano la storia di loro fallimenti relazionali rimanendo inconsapevoli del loro contributo al fallimento che risiede nel ri-attualizzarsi di vecchie modalità interattive. Una comprensione che non può avvenire senza l’apertura ai reciproci processi di regolazione emotiva.
Passato e presente che si incontrano: un caso clinico
Giovanna è una mamma separata. Si è separata quando i figli erano molto piccoli ed è tornata a vivere nella sua città, molto distante dalla città in cui viveva con il marito. È diventata così più che una mamma separata una mamma single con lunghi periodi di vacanza. È rimasta sola fino all’adolescenza dei figli: nessuna relazione sentimentale. E, a quel punto, si è risvegliato il desiderio di una relazione. E sono ricominciati i guai. Perché Giovanna non tollera la distanza. Dopo essere vissuta in una distanza oceanica dall’ex-marito adesso non tollera che il suo compagno abbia la minima distanza da lei.
Ogni distanza le suscita delle vere e proprie crisi, incomprensibili quanto feroci.
Una seduta arriva – dopo l’ennesima lite – disperata. Lui vuole lasciarla esasperato dalla sua possessività e gelosia. Mi faccio raccontare cosa ha innescato il litigio: un tipico ragionamento emotivo. Lui doveva uscire per una partita di calcetto: lei si è sentita abbandonata e da lì è arrivata, velocissimamente, alla convinzione che lui la stava abbandonando. Lui, dal canto suo, aveva bisogno di vedere gli amici, scaricare la tensione della settimana e pregustava da giorni la partita di calcetto con pizza e birra successive.
In pochissimi minuti la situazione è degenerata. Lei ha buttato giù dalle scale tutte le sue cose. Iniziando con la sacca del calcio e proseguendo con tutto quello che le capitava in mano. Dopo di che ha pianto tutte le sue lacrime per farlo tornare.
La sensazione che innesca la crisi
Quando siamo in presenza di una dis-regolazione è sempre una sensazione ad innescare la crisi, apparentemente dal nulla. La mancata esperienza di regolazione produce un altrettanto rapida escalation emotiva.
Ci siamo fermate sulla sensazione di sentirsi abbandonata. Quella che aveva innescato la crisi. Le ho chiesto di rientrarci dentro e di raccontarmi le sensazioni fisiche con gli occhi chiusi, al presente e in prima persona, come se le stesse vivendo in quel momento. Quando le sensazioni erano chiare le ho chiesto di vedere – sempre ad occhi chiusi – se emergeva un ricordo della sua infanzia e/o della sua adolescenza. Senza nessuna selezione precisa: solo se emergeva. E, se emergeva, di raccontarlo al presente e in prima persona come se stesse avvenendo proprio in quel momento. Adesso Giovanna è una bambina nella sua camera. I genitori sono in casa ma non c’è contatto con loro: sono occupati dalle loro attività e non sono accessibili. È domenica pomeriggio e lei è sola. Non può uscire, né vedere gli amici. Nessun amico entra in casa e lei non esce mai di domenica. Esce solo per andare a scuola. Lì si diverte ma quando torna a casa tutto deve essere silenzioso, per non disturbare. Inizia a buttare fuori dalla finestra tutti i giochi. I genitori arrivano: la aspetta una posizione esemplare.
Confortare e ridefinire
La solitudine di Giovanna era reale: il suo modo di affrontarla dis-regolato. Una dis-regolazione che nessuno ha curato. In questo caso è lì che dobbiamo tornare. A confortare la dis-regolazione di una bambina. Perché è quella bambina che torna tutte le volte che Giovanna si sente abbandonata.
In passato ha abbandonato e ha evitato le relazioni per non sentire il bisogno di contatto. Il comportamento di Giovanna non è insolito: per non affrontare una situazione difficile la evitiamo. Un evitamento che ci fa credere di aver risolto il problema. In realtà abbiamo solo eliminato la difficoltà. Separandosi e allontanandosi Giovanna si era convinta di essersi calmata. Aveva dimostrato a se stessa che era autonoma e che sapeva stare da sola. Il problema è nato quando ha ripreso una relazione. Un po’ come succede nell’anoressia che il problema è mangiare la giusta quantità. Desiderando tutto il pane del mondo l’anoressico non ne mangia affatto.
Le passate sensazioni di solitudine si erano risvegliate con la nuova relazione e Giovanna era avida. Non le bastava la presenza e l’attenzione che il compagno le dava. Doveva avere tutta la presenza e attenzione del compagno.
Se non diamo cibo e compassione a quella bambina nessuna interpretazione la toglierà da lì. In questo senso la psicoterapia non può essere simbolica, o almeno non può esserlo troppo presto. La dis-regolazione si cura offrendo regolazione emotiva reale. Con la meditazione, con il lavoro corporeo, con la compassione.
Apertura e ritiro verso il mondo
Il movimento di apertura e protensione verso il mondo e quello di ritiro sono aspetti centrali in bioenergetica nell’organizzazione del carattere o, se preferiamo, nell’organizzazione della personalità. Un movimento che ricorda il movimento di espansione in presenza di un ambiente favorevole e di ritiro in presenza di condizioni avverse delle amebe. L’ameba è un organismo semplice a volte formato da una sola cellula che, in situazioni avverse, può entrare in una sorta di chiusura riparativa e rimanere in questa chiusura fino a che l’ambiente non ritorna favorevole. I bambini molto piccoli possono sperimentare qualcosa di simile attraverso il meccanismo della dissociazione. Rimangono isolati dalla situazione stressante e si garantiscono, nello stesso tempo, un funzionamento adeguato in condizioni di maggiore favore. Alla lunga il rischio è che, bambini che hanno vissuto esperienze troppo lunghe di carattere dissociativo, non sappiano ritornare ad una modalità meno difensiva e più relazionale. Quando il bambino si trova costretto a ricorrere in modo prolungato a forme di autoregolazione, ossia quando il suo protendersi incontra condizioni ambientali sfavorevoli, le nascenti capacità relazionali possono risultare compromesse (Tronick, 1989; Tronick et al, 1986). I processi di autoregolazione, perché non siano espressione di un ritiro, devono integrarsi con i processi di regolazione interattiva. Il protendersi e il ritirarsi dovrebbero essere fluidi e vibranti, come dovrebbero esserlo tutti i movimenti. Giovanna da sola sapeva gestirsi ma la sua auto-regolazione aveva il prezzo dell’isolamento e della solitudine. In una relazione tornava ad essere prepotentemente bisognosa. In un modo che, tra adulti, diventa difficilmente tollerabile. Nessuna spiegazione era sufficiente per farla cambiare. Solo il conforto poteva sciogliere quell’antico dolore.
La regolazione interattiva
In generale continuiamo a ricorrere alla regolazione interattiva, sia per il piacere e il bisogno di compagnia che per la ricerca di aiuto esterno quando il compito che ci troviamo ad affrontare e’ superiore alle nostre capacità. Esattamente come fanno i bambini. Con in più il fatto che, in questo caso, la co-regolazione permette al bambino di accrescere anche le potenzialità del suo sistema ancora immaturo.
Quello che ci spinge alla relazione terapeutica e’ il bisogno di una regolazione interattiva, l’espressione di quell’antico desiderio di compagnia e la necessità di riparare un errore rimasto in sospeso, una regolazione interattiva mal riuscita che ha lasciato un segno anche nel pattern di autoregolazione. Il risultato della riparazione fornirà il significato dell’esperienza vissuta in tutta la sua complessità: interazione, mancata sintonizzazione, rottura e riparazione. L’ esperienza della mancata sintonizzazione, così realistica nella vita, non ha un significato negativo in sé: permette al bambino di affrontare nuovi e crescenti compiti di sviluppo, così come permette al paziente di trovare nuovi significati alla propria esistenza.
L’attenzione in questo caso si sposta dal trauma a tutto il processo relazionale. Alexander Lowen anticipa questa sensibilità e la utilizza nel lavoro clinico con pazienti adulti.
L’individuo che da neonato o da bambino non ha mai sperimentato consapevolmente certe sensazioni non le può acquisire attraverso l’analisi. Laddove una persona abbia sofferto per una carenza di sicurezza nelle fasi precoci della vita, ciò di cui ha bisogno nella terapia non è solo di analisi, ma dell’opportunità e dei mezzi per acquisire questa sicurezza nel presente. (Lowen, 1975, 287)”.
Modi di stare insieme
In effetti la regolazione emotiva dei primi mesi di vita segue dei percorsi che in qualche misura ci consentono di intravedere i modi successivi dello “stare insieme”. Diener e collaboratori (2002) hanno tracciato alcuni di questi possibili percorsi. Una prima possibilità è quella in cui le capacità auto-regolatorie del bambino e l’utilizzo da parte sua della regolazione interattiva coesistano in modo equilibrato. Il bambino sperimenta un senso di auto-efficacia, di self possession rispetto alla capacità di regolare le emozioni in modo autonomo, e, in caso di necessità, sa ricorrere alla figura adulta con flessibilità. E’ in grado di esprimere le proprie emozioni sia positive che negative, e il caregiver e’ percepito come emotivamente disponibile. Il ripetersi di esperienze di rottura e riparazione, la presenza di una madre sufficientemente buona, permettono quella pienezza di consapevolezza di sé che integra l’auto espressione con la padronanza.
Se invece la regolazione emozionale e’ centrata unicamente su modalità auto-dirette (come nel caso di Giovanna), ovvero sull’auto-consolazione, sull’auto-stimolazione e sull’esplorazione dell’ambiente in modo da limitare la necessita’ di fare ricorso all’adulto, quello che sarà possibile osservare dal punto di vista della regolazione delle emozioni sarà una ridotta capacità di espressione delle emozioni negative e un’attenuazione di quelle positive in quanto la figura adulta di riferimento viene sperimentata da subito come non disponibile per fornire un sollievo dalle emozioni negative. Una condizione che facilmente può evolversi in un legame di attaccamento evitante. La capacita’ di protestare per la frustrazione risulta inibita o eccessivamente attenuata. Nella clinica bioenergetica conosciamo bene questa situazione e l’importanza, sottolineata più volte da Alexander Lowen(1970), di riportare la capacità espressiva di sentimenti come la rabbia. Anche Edward Tronick (2008) sottolinea ripetutamente come la incapacità di una protesta coerente si trasformi in comportamenti trattenuti ed inibiti. Inevitabile, dal punto di vista bioenergetico, il riferimento al ruolo importante assunto dagli esercizi che “organizzano” la protesta, come lo scalciare, il battere, accompagnati dal No, espressione di una rottura che non era stato possibile esprimere ne’ attraverso la rabbia ne’ attraverso la tristezza. Aiutare il paziente a riorganizzare questi comportamenti “abortiti” può restituirgli quel senso di padronanza di se stesso che ha probabilmente perduto.
Una terza eventualità, infine, è che il bambino ricorra esclusivamente all’etero-regolazione; in tal caso di fronte al disagio cercherà eccessivamente il supporto relazionale e mostrerà una tendenza all’iperattività. In questo caso il bambino enfatizza l’espressione delle emozioni negative di richiamo dell’attenzione del caregiver, il quale spesso adotta modalità relazionali intrusive, con bassa prevedibilità o al contrario con una tendenza costante all’indisponibilità emotiva, sviluppando spesso un attaccamento ambivalente-resistente (Fedeli et al.,2010). Sono i pazienti che rimangono passivi, in attesa che il terapeuta fornisca una soluzione al problema: pazienti che necessitano di esperire le proprie radici, il proprio grounding per afferrare il senso del proprio movimento personale e relazionale, pazienti che necessitano di sperimentare la compagnia di se stessi, oltre che quella, onnipotente nel loro vissuto, dell’Altro.
La regolazione delle emozioni non riguarda solo gli stati affettivi di breve durata ma anche quelli più prolungati nel tempo che contribuiscono a strutturare l’umore del bambino. Tronick (2002) suggerisce che quest’ultimo si configura come un processo affettivo che svolge una funzione anticipatoria rispetto alle esperienze future.
Le mamme depresse e l’umore infantile
Un buon esempio della strutturazione dell’umore infantile in rapporto agli scambi relazionali precoci si può osservare nel caso della depressione materna. Le mamme depresse sono meno in grado di comprendere i loro bambini e, di conseguenza, di rispondere in modo appropriato. Spesso sono meno empatiche ed espressive, distolgono più frequentemente lo sguardo e sono più soggette a fallimenti nella riparazione. Per questa ragione il bambino tenderà a stabilizzare uno stato emotivo negativo, divenendo così resistente ai successivi stimoli sociali che può ricevere. Il bambino, condividendo la tristezza materna, finirà per introiettarla e riproporla nelle successive interazioni con l’adulto (Tronick, 2005). Non è un caso che i bambini con madri depresse tendono a non guardare la propria madre, a mostrare sentimenti negativi prolungati e a mostrarsi generalmente più arrabbiati. Una volta stabilizzato, l’umore negativo del bambino modella le modalità affettive dello “stare con” – come abbiamo sinteticamente espresso presentando il lavoro di Diener – compromettendo la qualità dell’esperienza socio-relazionale. Le modalità interattive adottate precocemente dalle madri tendono ad essere stabili nel tempo e hanno effetti sulla qualità dello sviluppo comportamentale, cognitivo e socio-relazionale del bambino (Murray e Cooper, 1997). I figli di mamme depresse presentano interazioni maggiormente negative con adulti non familiari, sono meno competenti sul piano sociale, e partecipano meno all’interazione (Field 1998). Si tratta di bambini che influenzano fortemente un partner estraneo, il quale, anche quando non è a conoscenza della storia del bambino, tende a sorridere meno, ad avere meno contatti fisici con il bambino e a mantenere una maggiore distanza interpersonale, esattamente come succede con i pazienti depressi che tendono a distogliere lo sguardo, ad essere meno attivi sul piano motorio e che rischiano di ricevere cure meno adeguate poiché frustrano i tentativi relazionali dei loro terapeuti.
Le modalità di relazione
Le modalità di scambio utilizzate dalle madri depresse non sono un insieme omogeneo. Sono state individuate almeno due tipologie di pattern interattivi: da una parte sono madri che mettono in atto modalità relazionali maggiormente intrusive e dall’altra, al contrario, mamme con una spiccata tendenza al distacco e al ritiro. I bambini di madri ostili e intrusive si confrontano con un clima affettivo diverso rispetto ai bambini di madri distaccate e ritirate. Nel primo caso le madri tendono ad interrompere le attività del bambino, prevenendo anche le riparazioni delle interazioni. Di fronte all’impedimento delle proprie attività il bambino sperimenta uno stato di rabbia che, se reiterata, verrà internalizzata. Invece, nel caso di madri distaccate/ritirate i bambini mostrano una regolazione caratterizzata da auto-conforto e il ripetersi dei fallimenti relazionali favorirà lo sviluppo di un umore connotato da tristezza.
Questa modalità di risposta a stili di regolazione degli affetti ritirati possono ripresentarsi anche in psicoterapia. Infatti, se non siamo consapevoli del significato rispetto alla regolazione delle emozioni delle modalità autoconsolatorie basate sul ritiro dei movimenti di espansione e su un blocco del fluire tra protendersi e ritirarsi, possiamo incorrere in due tipi di errori. Possiamo scambiare il ritiro per autonomia e indipendenza rafforzando anziché mitigandola, la rigidità relazionale oppure possiamo diventare eccessivamente intrusivi nel proporre un lavoro corporeo espressivo. Rischiamo di Individuare correttamente il bisogno di esprimere la rabbia e la tristezza ma di proporlo con un ritmo, una intensità e un timing non adeguate alle loro caratteristiche di regolazione. Di nuovo la consapevolezza degli aspetti modulatori può permetterci di partire da interventi dolci al fine di proporre un profilo di vitalità delle proposte di lavoro corporeo adeguato alle esigenze delle diverse persone.
© Nicoletta Cinotti 2019
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