
Quanto tempo della nostra vita passiamo nell’attesa? L’attesa che arrivi qualcuno. L’attesa che accada qualcosa. L’attesa che qualcuno risponda nei momenti in cui ti trovi intrappolato in una chiamata dove l’operatore sembra, come un fantasma, promettere una felicità certa: la soluzione del problema.
L’attesa ha sempre una qualità di silenzio. Ci ammutolisce anche quando riempiamo l’attesa di parole.
Un’amica sta attendendo l’esito di una biopsia e in quell’attesa c’è un silenzio fulgido anche se la stiamo, insieme, riempiendo di parole. C’era attesa anche quando da bambine guardavamo alla finestra scendere la neve: aspettavamo che tutto diventasse bianco per scendere a giocare. Adesso aspettiamo che tutto sia chiaro per sapere cosa fare.
L’attesa ha sempre in sé un alone di mistero e di silenzio.
Attesa, parola singolare femminile
Nicoletta Polla Mattiot racconta, nel suo piccolo e bellissimo libro – Singolare Femminile – che la parola attesa è una parola singolare femminile in molte lingue: greco antico, latino, italiano, francese, tedesco, spagnolo e portoghese. Forse perché nell’attesa si è sempre un po’ soli anche quando si è in molti ad aspettare. Femminile perché l’attesa rimanda il compiersi della maternità. Femminile perché nessuna più di Penelope ha aspettato. Quante volte ho sentito dire da una donna “questo è l’uomo che ho aspettato tutta la vita“. Non era il migliore di tutti quelli incontrati; non era nemmeno il più buono ma dando il senso di un compiersi dell’attesa restituiva una promessa concreta al desiderio di felicità. Anche per gli uomini forse è così: cercano tutta la vita la donna giusta. Le donne attendono che l’uomo giusto arrivi e gli uomini cercano tra mille donne quella che salverà loro la vita. Attese deluse e stazioni affollate da persone che aspettano. Quando sognavo di trovare la mia anima gemella immaginavo sempre che l’incontro sarebbe avvenuto in una stazione e così è stato. Per anni veniva a prendermi alla stazione che univa le nostre case distanti 200 chilometri e in ogni partenza nasceva il senso dell’attesa relativo al prossimo incontro.
Capita che sfiori la vita di qualcuno, ti innamori e decidi che la cosa più importante è toccarlo, viverlo, arrivare a riconoscersi…sentire che non ne puoi più fare a meno…e cosa importa se per avere tutto questo devi aspettare 53 anni 7 mesi e 11 giorni notti comprese? Gabriel Garcia Marquez
L’attesa si nutre di assenza
Aspettiamo sempre qualcosa che manca. Una volta Sharon Salzberg raccontava che, facendo la notazione del suo stato mentale ritornava sempre la parola, “Sto aspettando“. Per tanto tempo quella notazione le fece compagnia fino a che un giorno si stupì di come, quell’attesa, indicasse una mancanza di presenza o il desiderio che si manifestasse una realtà diversa dall’ordinario. Forse a volte è proprio così. Copriamo la nostra insoddisfazione con il desiderio che succeda qualcosa. Qualcosa che aspettiamo per dare un nome all’intimo senso di mancanza che spesso sperimentiamo senza vera ragione. L’assenza invece che essere ricettiva come l’attesa, è attiva e pratica e spesso dietro alla nostra iperattività sta proprio un senso di mancanza che non regge più nessuna attesa. Perché l’attesa richiede una speranza che a volte perdiamo. Richiede una riflessione e una chiarezza che permette alla nostra attesa di non diventare stasi.
Ho aspettato quell’uomo prima che avesse un nome, un viso…Esiste un solo uomo al mondo: il resto, per ogni donna, non è che un errore o un malinconico surrogato. E l’adulterio non è sovente che una forma disperata di fedeltà. Marguerite Yourcenar
Attendere come distendere
La parola attesa appartiene alla famiglia “Tendere” (Repertorio italiano di Famiglie di parole), dispiegare, allungare, cercare di volgere ad un fine, avvicinarsi ad una determinata situazione, perché in fondo, dice Nicoletta Polla Mattiot ci spinge a guardare oltre, verso ciò che può arrivare da un momento all’altro. Forse alla fine ci innamoriamo prima di quello che attendiamo che di quello che troviamo. Cerchiamo di rendere quello che troviamo più simile possibile a quello che abbiamo atteso anziché distendersi fino ad accettare che tra la realtà e il sogno esisterà sempre uno scalino che noi chiamiamo attesa.
Nell’attesa c’è possesso: solo chi è sicuro di essere amato si fa attendere. Gli altri, quelli che sperano di ottenere l’amore, aspettano, pazienti come una meridiana, che arrivi la luce del sole. Così solo chi ha potere nelle relazioni può permettersi di far aspettare. Le sale d’attesa dei medici, degli avvocati, di chi a vario titolo cura i nostri interessi chiamano alla subalternità tra chi attende e chi si fa aspettare. Per alcuni di noi è impossibile sottomettersi al giogo dell’attesa: troppo umiliante riconoscere di non aver potere.
Le parole che declinano il silenzio singolare e femminile
Le donne sono state invitate al silenzio. Nei miti come nella realtà e così c’è almeno una storia femminile che declina ogni possibile tipologia di silenzio. Nicoletta Polla Mattiot ne raccoglie tante da stupire proprio per l’ampiezza. Dal mito di Tacita che fu privata della lingua perché pettegola e poi violentata senza poter gridare la sua disperazione, al La Mite di
C’è un rapporto intimo e naturale che da sempre lega la donna al silenzio, quindi alla conoscenza e all’ascolto di sé. Marguerite Duras
© Nicoletta Cinotti 2020
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