
C’è una pratica che Thich Nhat Hanh suggerisce di fare per imparare a lasciare andare. Nasce da una storia relativa ad un pastore che aveva perso le sue mucche. Incontrando il Buddha e un gruppo di monaci nel bosco chiese loro se le avessero viste. Dopo che il pastore se ne fu andato il Buddha si rivolse ai monaci sorridendo e invitandoli ad essere felici proprio perché non avevano mucche da perdere.
La pratica consiste nello scrivere su dei fogli il nome delle nostre “mucche”, guardando in profondità dentro di noi per vedere se saremmo in grado di lasciarne andare qualcuna. In questo modo possiamo comprendere profondamente a cosa siamo aggrappati e cosa siamo invece pronti a lasciar andare. Sapendo che la paura della perdita non sarà rivolta a ciò che si è pronti a lasciare ma sarà intensa proprio nei confronti di quello che tratteniamo più saldamente.
Condivido con te il nome delle mie mucche e anche quelle che sarei in grado di lasciar andare e quelle a cui, invece, mi aggrappo e che tengo chiuse nel recinto, controllando ogni sera che siano nella stalla:
- le persone della mia famiglia, in tutti i vari cerchi, dal più intimo al più distante essendo consapevole che dovremo, prima o poi, lasciarci;
- la casa, che non sono affatto pronta a lasciar andare;
- i pazienti che vanno e vengono e mi insegnano che più le cose funzionano più siamo liberi di andarcene;
- le persone con cui lavoro che mi insegnano a non aggrapparmi a niente e che, con stupore, continuano a camminarmi accanto;
- gli anni che mi sembrano sempre un’apertura sul futuro;
- il tempo che mi sembra sempre più prezioso;
- le cose che studio a cui mi aggrappo con l’idea che prima di morire vorrei aver imparato il più possibile. E se fosse possibile vorrei continuare a imparare anche dopo. Non so in che forma perché Dante ha parlato di Inferno, Purgatorio e Paradiso ma non ho capito dove ha messo le biblioteche;
- scrivere, in punta di cuore, perché non ho ancora cominciato a scrivere davvero ma sono quasi pronta a farlo. Non mi aggrappo alla scrittura perchè io e lei siamo la stessa voce. Non scrivo per voce sola ma scrivo per voce condivisa.
La scrittura è il mio rifugio. Non mi nascondo dietro le parole: le uso per scavare dentro la mia anima e scoprire la verità. Credo di poter dire in tutta onestà, che la scrittura mi dona una sorta di pazienza che nella quotidianità mi manca. Mi fa fermare. Mi fa prendere nota. Mi offre l’accesso a una specie di nido, che nella mia vita frenetica e zeppa di cose da fare non potrei mai raggiungere. Terry McMillan
Pratica di mindfulness: Scrivi in nome delle tue “mucche”e guarda quelle che potresti lasciar andare. Poi guarda quelle a cui, invece, sei aggrappata. È lì che può nascondersi il futuro.
© Nicoletta Cinotti 2020 Scrivere la mente: tre laboratori a Milano
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