
Anche se può sembrare strano, il nostro corpo è spesso il luogo fisico verso il quale più frequentemente proviamo avversione. Proviamo vergogna per i suoi difetti, proviamo imbarazzo per i segni dell’invecchiamento, abbiamo disturbi legati all’immagine corporea – come l’anoressia e la bulimia – e disturbi su base psicosomatica e ipocondriaca.
Insomma, malgrado il nostro corpo sia il veicolo che ci garantisce di essere vivi, di gustare un panorama, di sentire un profumo, di toccare e provare piacere, abbiamo sempre qualche lamentala rispetto a com’è e a come funziona.Facciamo fatica a provare gratitudine per le esperienze che ci permette, gratitudine per il lavoro silenzioso che svolge. Come se, assurdamente, potessimo esistere anche senza di lui. O come se fosse sempre a rischio di essere licenziato da noi e non viceversa.
La radice dell’avversione della mente verso il corpo
La radice di questa avversione è sia generale che personale. Cresciamo in una cultura che dà valore soprattutto all’aspetto estetico e funzionale del corpo. Una cultura che ha ritenuto più importante il pensiero astratto rispetto all’esperienza. Ci siamo allontanati così tanto dalla semplice natura fisica della nostra vita che, a volte, ci sembra di poter fare a meno del corpo. Fino a che non reclama, con la malattia o l’invecchiamento, la nostra attenzione.
Più personalmente il corpo non è qualcosa che abbiamo potuto scegliere: è una dotazione innata. Non abbiamo potuto scegliere il nostro aspetto o la sua dotazione genetica. Questa sembra essere, narcisisticamente, la prima offesa che dobbiamo superare: non l’abbiamo scelto noi e non tutti gli aspetti della vita del corpo sono sotto il nostro controllo.
[box] Cercherò di mostrare l’aspetto spirituale della salute. Alexander Lowen[/box]
Questa visione meccanicistica del corpo ha molte conseguenze sia sul piano personale che collettivo: una di queste è la riduzione dell’aspetto spirituale della vita. La spiritualità in occidente è progressivamente diventata una forma intellettualizzata di conoscenza lontana dall’esperienza. Fino a che la cultura orientale non è iniziata a penetrare considerevolmente nella nostra cultura.
[box] Quando il corpo e la mente sono separati la spiritualità diventa un fenomeno intellettuale, una credenza piuttosto che una forza vitale e il corpo diventa solo carne, una specie di laboratorio biochimico, come nella moderna medicina. Alexander Lowen[/box]
La grazia del corpo
Quando i nostri movimenti diventano meccanici o quando la nostra muscolatura ipertrofica diventa un ostacolo al movimento, anziché una forma di espressione della nostra grazia, possiamo essere certi che abbiamo perso contatto con l’esperienza corporea. Se guardiamo i bambini vediamo che, al di là del loro aspetto, hanno una grazia nei movimenti che nasce da questa integrazione tra chi sono e cosa sentono ed esprimono. I bambini sviluppano lentamente tonicità muscolare e questo garantisce loro la grazia che tanto ammiriamo.
Diventare adulti significa anche acquistare un tono muscolare e, a volte, un ipertono muscolare che interrompe la fluidità del movimento. Eppure quella grazia è qualcosa a cui non possiamo rinunciare e che inseguiamo per tutta la vita. Perchè è la grazia di un corpo che non è solo materia, non è solo emozione, non è solo spirito ma è una integrazione equilibrata tra questi aspetti.
Perdiamo la grazia quando perdiamo consapevolezza del corpo, perdiamo la grazia quando le tensioni muscolari, che nascono dalle difese emotive, prendono il sopravvento. Alla lunga le nostre tensioni ci ammalano perchè riducono l’ossigenazione dei tessuti e sollecitano in maniera incongrua le articolazioni. È allora che prendiamo contatto con il fatto che “dovremmo fare qualcosa”. Che sia Yoga, Mezieres, Feldenkreis, Pilates, Ginnastica Posturale non è tanto l’approccio che conta. In quel momento conta lo sguardo che abbiamo nei confronti del nostro corpo.
Le nostre strategie per cercare di controllare la vita
Potremmo accorgerci, a questo punto, che l’atteggiamento che abbiamo nei confronti del corpo è una parte delle nostre strategie per affrontare la vita. Esprime la nostra determinazione, la nostra forza di volontà, la nostra fame e il nostro orgoglio. E il corpo è il servo muto che deve eseguire tutto questo.
Cosa accadrebbe se, per una volta, quando facciamo attività fisica, lasciassimo andare i nostri piani di miglioramento? Le nostre strategie di controllo? E ascoltassimo il corpo?
Ci accorgeremmo che per quanto noi lottiamo, il momento presente c’è, è a nostra disposizione con tutta la sua nuda vitalità. È per questo che lottiamo contro la sua realtà: è già qui e possiamo sentire come si esprime nel corpo. Questo ci renderebbe immediatamente chiaro quanto sia stretta la relazione tra la mente e il corpo. Come possa bastare un solo pensiero a farci serrare la mandibola e un solo respiro a farla rilassare.
Con la rabbia la catena dorsale si tende e chiude la catena anteriore, con la gioia avviene l’opposto. Il nostro corpo esprime e non rimarrebbe contratto, dopo essersi arrabbiato, se la nostra mente non decidesse di ripescare con il pensiero le infinite ragioni per cui dobbiamo arrabbiarci ancora.
Il fallimento del corpo
Potremmo accorgerci che il fallimento che imputiamo al corpo riguarda invece la mente: non è possibile vincere sempre. Non è possibile provare solo sentimenti positivi. Non ha senso difendersi da minacce ipotetiche. Non saremo distrutti da una prestazione sotto i nostri – insindacabili – standard. Saremo però, alla lunga, consumati dallo stress, dalla tensione, dalla paura, dalla rabbia che teniamo immagazzinata nel corpo. Praticare un qualsiasi lavoro corporeo non ha senso se diventa un’altra delle nostre sfide perfezionistiche, un altro dei nostri standard severi di prestazione.
Imparare attraverso la critica
Il modo che abbiamo per imparare è criticarci, darci dei ripetuti comandi di correzione, sforzarsi al massimo e poi criticarci ancora per spronarci ad avere migliori risultati. Io direi che facciamo così in particolare con ciò che riguarda il corpo e le sue performance. Ma non solo. Non funziona ma insistiamo. Come sarebbe se ascoltassimo senza giudicare quello che accade nel corpo? Come sarebbe se lasciassimo che la realtà prenda una direzione senza forzare le cose, per poter capire dove stanno le nostre risorse e le nostre possibilità? Ci renderemmo conto che la nostra paura più grande è scoprire chi siamo davvero per fiorire a partire da questo punto. Fidarsi del corpo è fidarsi di noi. Non fidarsi del corpo è non fidarsi di noi.
Dove possiamo arrivare se non ci fidiamo di noi stessi? Che misera compagnia saremo se non possiamo contare su di noi?
Imparare dall’accettazione
Imparare a partire dall’accettazione di ciò che è realmente presente ci permetterà di passare dalla logica della performance alla logica dell’auto-espressione con una differenza fondamentale rispetto al livello di soddisfazione.
La logica della performance dà una soddisfazione limitata nel tempo e nella profondità. Sappiamo quanto ci è costata e ci lascia in dubbio sulla possibilità di produrre di nuovo un risultato così alto. La logica dell’accettazione, dell’imparare dall’esperienza ci permette un passaggio ulteriore.
[box] Dimora il più vicino possibile al fluire della tua vita. Henry David Thoreau[/box]
Portare Accettazione Radicale nella propria vita inizia da qui, dal livello basilare, diventando consapevoli del fluire delle sensazioni del corpo. Dimorando il più vicino possibile al fluire della nostra vita. Forse allora potremmo accorgerci che il rifiuto del nostro corpo per come è è il rifiuto della nostra spiritualità. Non c’è niente di meno spirituale del perfezionismo che ci vorrebbe come dei e ci uccide come persone.
© Nicoletta Cinotti 2023
Bibliografia
Alexander Lowen, La spiritualità del corpo
Tara Brach, Radical Acceptance
Timothy Gallwey, Il gioco interiore del tennis
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