Nella parte dedicata alla consapevolezza come strumento di valutazione diagnostica abbiamo potuto esplorare come consapevolezza non significhi scarica emozionale ma piuttosto un aumentato contatto con noi stessi.
La qualità, l’ampiezza e la profondità di questa intimità con noi stessi fornisce la base di lavoro della psicoterapia e la base della valutazione diagnostica, perché ci permette di iniziare ad impostare un quadro dei bisogni essenziali della persona.
Abbiamo anche visto, soprattutto nel contributo della scorsa settimana, come la consapevolezza in bioenergetica sia soprattutto un elemento di conoscenza implicita di noi che va a sostenere la conoscenza esplicita.
La consapevolezza però, da sola, non basta: perché il nostro sé corporeo possa sviluppare pienamente il proprio potenziale di crescita e cambiamento abbiamo bisogno di sentire la possibilità di espressione emozionale e di scarica psico-fisica.
L’importanza della scarica emozionale e dell’espressione emotiva è centrale nelle psicoterapie esperenziali come la bioenergetica proprio perché non è solo una esperienza narrativa ma anche una espressione corporea.Il punto centrale è l’idea – espressa ripetutamente da Lowen – che l’inibizione dell’espressione emotiva porta ad una perdita di sensibilità e di vitalità e quindi comporta anche una successiva perdita di consapevolezza. I sentimenti sono la vita del corpo, quel linguaggio corporeo che ci permette l’amorevole legame con la vita che dà il senso alla nostra esistenza.
La repressione
I bambini reprimono le loro emozioni per adattarsi alle condizioni dell’ambiente familiare. Le prime espressioni emotive trattenute sono quelle di rabbia, paura, tristezza e gioia, quelle emozioni di base che più frequentemente disegnano lo spazio relazionale con i genitori. La conseguenza di questa repressione di base va nello sviluppo di un continuum di inibizione tra due estremi: sottomissione e ribellione. Questi due estremi sono la guida da seguire nella valutazione diagnostica e forniscono informazioni di grande valore. Infatti né l’uno né l’altro di questi due atteggiamenti rappresenta una espressione genuina di sentimento. La ribellione infatti ha la funzione di copertura del bisogno, mentre la sottomissione ha la funzione di negare la rabbia o la paura.
Il continuum tra sottomissione e ribellione
Già queste due semplici valutazioni ci permettono di orientare la successiva diagnosi caratteriale. La negazione del bisogno – espressa attraverso la ribellione – orienta verso modalità relazionali psicopatiche che possono avere una base orale o narcisista; la sottomissione orienta verso gli aspetti masochistici, che possono avere, oltre alla base orale e narcisista, anche una matrice schizoide.
L’espressione del centro vitale
Le emozioni sorgono come impulsi o movimenti spontanei dal centro vitale dell’individuo, per cui, per reprimere un sentimento è necessario smorzare la vitalità e la motilità del corpo, diminuendo così tutto lo spettro delle sensazioni.
Questo potenziale di sensibilità represso però non è perduto: lavorando sull’espressione si aiuta la persona ad entrare in contatto con alcuni dei sentimenti repressi nella propria personalità, permettendo di comprendere da dove è venuto il sentimento si inizia una vera ricostruzione biografica della persona. Una ricostruzione biografica e anamnestica che nasce dal corpo.
Il sé corporeo è un sé relazionale
È facile comprendere come sia sottomissione che ribellione strutturino anche le modalità relazionali, attivando diverse modalità di protensione e ritiro. Possiamo quindi iniziare a farci delle domande diagnostiche che iniziano ad arricchire il puzzle di valutazione che stiamo costruendo: quali sono le emozioni che questa persona trattiene? Servono a costruire una modalità relazionale ribelle o sottomessa? Negano il proprio bisogno o il diritto dell’altro ad avere un bisogno? Accondiscendono o si ritirano? Ma soprattutto, come attivare l’espressione dei veri sentimenti che vengono nascosti da questi due schemi di risposta difensiva ?
Cosa sta sotto?
Lowen, in maniera molto originale, definisce la rabbia “l’emozione che guarisce” proprio perché gli esercizi espressivi permettono di sciogliere queste modalità difensive. Proponendo esercizi espressivi della rabbia possiamo facilmente iniziare a cogliere se siamo di fronte ad un “vero ribelle” o ad un “sottomesso”. Così come possiamo iniziare ad esplorare come questi due elementi del continuum sono variamente distribuiti nella stessa persona rispetto a diverse emozioni. Possiamo così domandarci come mai siamo di fronte ad un ribelle rispetto ad alcune emozioni e ad un sottomesso rispetto ad altre. Possiamo anche iniziare a domandarci che funzione ha avuto, nella storia della persona, imparare a trattenere proprio quell’emozione e mostrare invece, in abbondanza, l’altra. In questo modo iniziamo a fare una ricostruzione della biografia e dell’anamnesi che diventa una “biografia corporea” e che ci aiuterà a ricostruire con semplicità, la storia della persona, senza ricorrere ad eccessive narrazioni.
Il tema dell’espressione chiama a se anche il tema della voce, che, accompagnandosi ai diversi esercizi, ci permette di cogliere la carica espressiva e la libertà espressiva della persona che ci troviamo di fronte. Superato l'”inevitabile” imbarazzo iniziale, quanto è espressiva la voce della persona durante gli esercizi e quanto il volume supera l’intensità dell’esercizio stesso?
La logica conclusione sul tema dell’espressione di sè è la necessaria padronanza che gli aspetti espressivi richiedono e che sarà il tema dell’articolo della prossima settimana…..
a cura di Nicoletta Cinotti
Lascia un commento