Proseguendo il nostro percorso sulla diagnosi in movimento siamo arrivati a considerare l’aspetto del ritmo come espressione della carica e della scarica del paziente. Il ritmo ci permette di comprendere molto bene, in maniera percettiva, com’è la carica della persona che ci troviamo di fronte ( e anche la nostra carica!). Il nostro ritmo infatti è dato dalla nostra vitalità, strettamente connessa alla qualità del nostro respiro e alla fluidità – non interrotta dai blocchi – del nostro movimento corporeo.
Percettivamente il ritmo si esprime attraverso la voce e la lentezza/velocità dei movimenti. Sappiamo, inoltre che ognuno di noi ha un ritmo sintonico a se stesso. Quando stiamo bene fisicamente e siamo felici abbiamo la possibilità di percepire qual è il ritmo del nostro benessere.
Quindi una delle domande diagnostiche ma anche già terapeutiche, che possiamo farci quando vediamo entrare una persona nel nostro studio è:”Com’è il ritmo di questa persona?”, “E’ fluido o interrotto”, con “Alta carica o bassa carica”, “E’ naturalmente lento o trattenuto?”
Entriamo nel corpo
Quello che influenza maggiormente questo ritmo è il nostro respiro – definito dalla lunghezza del processo respiratorio – e il nostro grounding. Il grounding, inteso come capacità di radicamento nella realtà, è quello che ci permette di provare emotivamente quello che c’è nel nostro panorama interiore, senza uscire fuori dalla nostra finestra di tolleranza. Se l’intensità dell’emozione è soverchiante, prima di arrivare ad essere travolti, mettiamo muscolarmente un freno alla espressione emotiva e per farlo ci tratteniamo “indietro” e verso “l’alto”. Facciamo qualcosa che corrisponde al tendere la membrana di un tamburo: più è tesa, più è a rischio di rottura, più il suono è alto. Questo sottile ma udibile cambiamento di ritmo spesso avviene in maniera automatica e quindi cade facilmente fuori dalla consapevolezza della persona
Ma noi possiamo accorgercene e andare a cercare da dove parte il trattenimento e iniziare ad esplorarne il significato. Per la persona che sperimenta questa alterazione di ritmo, almeno inizialmente, è più facile comprendere delle domande legate alla carica energetica e le sue risposte possono permetterci di iniziare ad aprire la sua consapevolezza e introdurre il lavoro corporeo.
Il lavoro corporeo sulla consapevolezza di se
Visto che questo percorso diagnostico utilizza come elementi le tre colonne del Se corporeo disegnate da Lowen è chiaro che il ritmo e l’energia della persona sono elementi importanti della consapevolezza. Ma iniziare a parlare di ritmo ed energia è importante anche per “far affezionare” la persona al lavoro corporeo. Quando un paziente arriva da noi ha una fortissima idea che tutto ciò che la psicoterapia offre sia un lavoro – profondo – sui contenuti, sulle sue idee, sulle sue emozioni. Su quello che possiamo definire conoscenza esplicita di noi. Siamo però abituati a lavorare sulla conoscenza esplicita di noi attraverso il dialogo verbale e solo dopo molta esperienza di lavoro corporeo riusciamo a comprendere le connessioni tra il corpo e la conoscenza esplicita di noi.
Parlare di carica, energia permette di iniziare il lento processo di spostamento dell’attenzione ai processi impliciti: quei processi che radicano l’attenzione al corpo e che ci permettono di esplorare non solo i nostri pensieri – che spesso non sono nemmeno buone idee – ma soprattutto la nostra esperienza vitale.
Esercizi corporei per iniziare
I primi dieci anni della mia psicoterapia bioenergetica sono praticamente passati sul cavalletto bioenergetico. Ho attraversato diversi sentimenti: dall’odio iniziale, al rispetto e, infine, ad un sentimento di vera gratitudine per il mondo interno a cui mi permetteva accesso… Per questa ragione credo, contrariamente a molti colleghi bioenergetici, inserisco ben presto il cavalletto nel lavoro e lo uso già nella fase iniziale come strumento diagnostico. Dopo il primo shock, che spesso emerge quando prendiamo contatto con l’importanza dei blocchi che il cavalletto rende evidenti, inizio a graduarne l’uso e a sostenere il dialogo della persona con il cavalletto. Il cavalletto infatti costruisce un effetto rebound successivo, che spesso non viene investigato. Se sul momento è “orribile”, dopo averlo fatto, anche per qualche ora successiva, inizia a far filtrare un senso di benessere e maggiore vitalità. Se si esplorano le sensazioni a posteriori e non ci si ferma al racconto di quanto è orribile al presente, possiamo iniziare ad aprire l’affetto per uno dei cardini della bioenergetica “…la gioia è insegnata dal dolore (E. Dickinson)”.
Il cavalletto permette infatti sia a noi che al nostro cliente, di cogliere le aree di tensione respiratoria che sono strutturate nel corpo e, attraverso il successivo bend over, inizia a stabilire una maggiore elasticità e lunghezza della respirazione. In questo modo possiamo iniziare a far prendere contatto alla persona con il proprio ritmo, spostare la sua attenzione su come sente adesso il respiro, la voce, l’appoggio a terra: tutti elementi che contribuiscono ad ampliare lo spettro di consapevolezza di sè e, dalle loro risposte, possiamo anche noi farci un’idea di com’è lo spettro di consapevolezza di questa persona…
non perdere l’articolo della prossima settimana!
a cura di nicoletta cinotti
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