
Ci sono tante ragioni per guardare a noi stessi con gentilezza: possiamo farlo perché la vita è difficile, perché siamo stanchi, perché ogni giorno abbiamo problemi e difficoltà da affrontare. Ma di tutte queste ragioni spesso dimentichiamo la più importante: vale la pena essere gentili perché la gentilezza è un antidoto alla paura e all’ansia.
La paura e l’ansia infatti sono risposte vagali che ci portano immediatamente nell’area difensiva: attivano risposte veloci, istintive e abituali. Sono emozioni sensibili a segnali minimi di cui, a volte, nemmeno ci accorgiamo consapevolmente tanto passano sotto soglia e attivano però, subito, una risposta vagale con tensione, accelerazione del battito o della sudorazione, pensieri ripetitivi e senso di pericolo. In questi casi ricorriamo alle nostre vecchie abitudini e finiamo per vivere un po’ meno per non rischiare un po’ di più.
La gentilezza offre una alternativa perché diventa un modo – non verbale – per dirci che non siamo in pericolo. Un modo per rassicurarci e ricordarci che non c’è niente di cui avere paura. Lo facciamo utilizzando gli stessi segnali subliminali – di segno invertito – della paura. Se la paura ci fa essere bruschi, ricorriamo alla gentilezza. Se ci fa essere veloci, ci invitiamo a rallentare. Se ci rende frenetici, ci prendiamo uno spazio di pausa. E lo facciamo ogni volta che sentiamo l’onda dell’ansia arrivare e scuoterci. Così non lavoriamo per non provare più ansia e paura – cosa che sarebbe controproducente oltre che impossibile – ma non alimentiamo quell’aspetto veloce, compulsivo e inconsapevole che è il comportamento orientato dalla paura. Perché abbiamo una libertà che troppo spesso sottovalutiamo: la libertà di scelta.
Non possiamo scegliere di cancellare l’oscurità, ma possiamo scegliere di illuminarla. Edith Eva Eger
Pratica di mindfulness: Addolcire, confortarsi, aprire
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