
Credo che la Liguria sia un luogo bellissimo. Ci vivo da “foresta” (cioè non nativa da sette generazioni) da trent’anni. Mi guardano ancora come se fossi in vacanza e quando entro in un negozio mi chiedono quanto mi fermo (io vorrei dirgli che posso fermarmi anche mezz’ora in negozio e so che questo terrorizza qualsiasi commerciante ligure!). Comunque in questo luogo bellissimo sono necessarie alcune accortezze per muoversi bene e quindi, proseguendo i consigli vacanzieri della scorsa settimana, ne aggiungo qualcuno di mio, contravvenendo alla mia regola di non dare consigli.
- usa la felicità con cautela, il ligure nativo diffida dell’entusiasmo o, peggio ancora, dell’euforia. Se entri contento in un negozio possono provare un’improvvisa quanto ingiustificata diffidenza. Per l’occasione indossa una faccia di leggero malcontento e vedrai come diventano subito più gentili.
- usa la lentezza con cautela, al ligure la lentezza piace solo in alcune e selezionate circostanze. Se parli tra un ordine e l’altro mentre fai la spesa, ti fanno il conto. Quando mi sono trasferita qui facevo la spesa anche in tre negozi diversi perché, chiacchierando da toscana, mi ritrovavo con il conto senza aver finito di fare la spesa. Allora, imbarazzata, la finivo in un altro negozio. Alla fine entro a muso duro, faccio un elenco stringato e non commento mai nulla: così posso fare la spesa in un solo negozio, più felicemente.
- saluta con parsimonia, l’idea di salutare tutti perché sei in un paese piccolo in cui vivi da anni è considerata invadente.
- lascia perdere il DSM. Se sei uno psicologo in vacanza lascia perdere qualsiasi abituale categoria diagnostica. In Liguria altrimenti finiscono tutti tra depressione e disturbo anti-sociale. Proponiamo piuttosto una variante regionale del fatidico DSM che tenga conto delle variabili culturali.
- non chiedere dov’è un parcheggio: vieni in treno.
- sii grato della bellezza che trovi ovunque: in Liguria non è bello solo il mare. Sono belli i monti, le creuse, l’entroterra, il cielo, le case e se le guardi senza farti notare anche le persone. Facce da saraceni e sguardo riservato e fiero. Facce da liguri insomma
Cesare, smettila di dare antidepressivi a tutti i genovesi che incontri. È vero, i genovesi si lamentano tutti, ma non sono depressi. Tu che vieni da Roma, devi imparare la diagnosi differenziale. Il mugugno ha i suoi canoni, è musica popolare. È un blues laico, che parla della fatica dell’uomo ma non cerca nessuna salvezza. È un blues interessato, perché dice: le cose mi vanno male, non posso darti nulla. È un blues bugiardo: quando un genovese si lamenta di qualcosa vuol dire che ha già in tasca la risposta. Lamentarsi è un modo frugale di cantar vittoria. Se un genovese sta veramente male, non si lamenta, tace. Il lamento del depresso è una battuta unica, ripetuta, greve. Dice: tu non c’entri, ma in qualche modo è colpa tua. Il mugugno è liberatorio: siamo uniti contro qualcuno, siamo sulla stessa barca. La musicalità è diversa, si riconosce alla prima sillaba.Se qualcuno non è di Genova e si mette a cercare una soluzione al problema, il genovese si ritira. Lui vuole solo andarsene senza aver detto niente. Paolo Milone
© Nicoletta Cinotti 2021 Camogli forever