
Stanotte ho sognato che andavo in montagna, in una parte delle Alpi che ancora non conosco. Partivo con l’intenzione di andare da sola e poi mi ritrovavo, come spesso succede, in buona compagnia. Quando mi sono svegliata mi è subito venuto in mente “Il monte analogo” di René Daumal ma soprattutto mi è venuto in mente che René non finì il suo libro. Il libro è il racconto di un’impresa alpinistica verso il monte più alto che diventa, per analogia, il racconto del nostro viaggio interiore. Il metodo è “mettersi sulla via”, lasciar andare le nostre difese, per contemplare con occhi nuovi il nostro paesaggio interiore. Il titolo dell’ultimo capitolo, quello rimasto incompiuto perchè René iniziò a scrivere il libro mentre era ammalato di tubercolosi, è “E voi, che cosa cercate?”. Ieri sera, durante la sesta serata del protocollo, ho detto qualcosa che mi è rimasto dentro come un sassolino, e credo abbia dato vita a questo sogno.
Parlando con una delle partecipanti che diceva di non riuscire a praticare e che si diceva che, dopo tanti anni di psicoterapia e di lavoro su di sé forse era il segno che non aveva bisogno di farlo, ho detto che se non riusciamo a perdonarci non riusciremo a praticare perché la mindfulness ci mette onestamente davanti a noi stessi, come uno specchio. Ci fa vedere i nostri errori e le nostre incrinature e solo se impariamo a confortarci possiamo accettare di continuare ad esplorare. Altrimenti prima o poi avremo paura di vedere, paura di cercare, paura di cambiare un equilibrio faticosamente raggiunto. È per questo che la mindfulness è heartfulness; è per questo che la consapevolezza ha bisogno della compassione.
Poi, andando a casa, è arrivata la mia voce che diceva “forse li hai spaventati, perché gli hai detto questa cosa del perdono?”. Questo era il mio sassolino. Lo conosco bene quel sassolino, conosco bene quella voce che non ammette scuse: fino a che non dico – a me stessa – la verità insiste. C’era un misto di affetto e trepidazione per quel gruppo variegato e disponibile con cui passo i miei mercoledì sera. Mi domando sempre se offro abbastanza e in quel misto la trepidazione ha un ruolo importante. La trepidazione che ho verso i principianti che non vorrei esporre troppo presto o troppo fortemente alla verità. Come una alpinista che va da prima (la posizione nella cordata) so che ho delle responsabilità precise: non devo portarli su strade che non sarebbero in grado di percorrere. Non devo procedere troppo veloce e loro mi ripagheranno con lo splendore degli inizi e delle cose nuove che mi insegnano a vedere per la prima volta.
Quando mi sono svegliata e mi sono ricordata del libro mi sono accorta che la domanda vera – quella che avevo disatteso o evitato di vedere – è un’altra: “Ma io, dopo tanti anni, cosa sto cercando?” Forse non ho una realizzazione specifica, una vetta da raggiungere. Cerco di assaporare e dilatare così il tempo della vita perchè da buona montanara so che la parte più difficile non è mai la salita. Piuttosto è la discesa. E io adesso vorrei scendere bene.
Si sale, si vede. Si ridiscende, non si vede più; ma si è visto. Esiste un’arte di dirigersi nelle regioni basse per mezzo del ricordo di quello che si è visto quando si era più in alto. Quando non è più possibile vedere, almeno è possibile sapere. René Daumal
Pratica di mindfulness: La meditazione della montagna
© Nicoletta Cinotti 2019 Silver Economy Forum, Genova 15 Giugno 2019: farò una relazione sul Mindful Aging
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