
Ci sono molte buone ragioni per andare quest’anno a Matera. Io ne avevo una personale. La mostra “Let’s talk about shame” definita Una seduta psicoanalitica collettiva per l’architettura europea. Un’occasione molto ghiotta visto che la vergogna è un sentimento che mi interessa da vicino e visto che questa mostra – curata da architetti – era definita una seduta psicoanalitica collettiva. Con tanto di divani rossi adatti al miglior Freud! La mostra si tiene nella sede dell’Archivio di Stato, messo in sicurezza per l’occasione ma non restaurato. Una scelta che è stata fatta anche per l’altra mostra “Blind Sensorium” che è, in parte, nei locali dell’ex-scuola Alessandro Volta. Insomma una scelta giusta: non nascondere la realtà con restauri last minute, veloci e superficiali. Non è una vergogna mostrare le cose come sono. Ma perché Matera e la vergogna?
Cristo si è fermato ad Eboli
Il romanzo di Carlo Levi, al confino in due paesi del circondario di Matera, rivelò all’Italia le condizioni precarie di vita nei Sassi materani. Tanto che ne fu deciso lo sgombero e la creazione di nuove case popolari nei quartieri periferici. Parte delle abitazioni nei Sassi vennero abbattute, parte acquisite dal Demanio. Oggi hanno varie destinazioni. Dal Museo MUSMA, a Fondazioni, spazi espositivi, esercizi commerciali. Cos’è che ha trasformato quella che Togliatti definì la vergogna nazionale, in un patrimonio artistico forse assurdamente sfruttato per scopi turistici? Dov’è finita la vergogna? Forse è stata mandata in periferia? Che relazione c’è tra la vergogna intesa come sentimento e la vergogna intesa come opera architettonica che non nobilita l’uomo ma lo degrada?
Il mea culpa architettonico e quello psicologico
I curatori della mostra – Fabio Ciaravella, Cristina Amenta, Mimì Coviello – evidenziano alcuni luoghi: i muri di confine, le architetture totalitarie, le case popolari, le opere incompiute, i ghetti rurali, luogo di insediamento dei migranti, il degrado delle periferie urbane come luoghi in cui si può incontrare ancora la vergogna. Quello che a me sembra interessante, da psicoterapeuta e non da architetto, è che il processo della vergogna, dal punto di vista psico-dinamico, è molto simile a quello architettonico. La vergogna ci fa costruire muri di confine con parti di noi che riteniamo da segregare mentre cerchiamo di spingerle alla periferia, fuori dalla consapevolezza, in aree psichiche che diventano ben presto degradate perché non si investe su quello che, dal punto di vista psichico, corrisponde all’operazione di recupero dal punto di vista architettonico: la riflessione e l’inclusione.
Portiamo avanti questo processo di espropriazione dietro la spinta del nostro regime totalitario interno, un Super-io che prova vergogna per tutto ciò che non considera all’altezza di un proprio standard. Uno standard che, nel tempo, è soggetto a mutamento, spingendoci a recuperare aspetti e aree lasciate abbandonate che si rivelano, invece, ricche di potenzialità.
Le opere incompiute
La ragione per cui molte opere rimangono incompiute spesso è più politica che architettonica ma è vero che l’incompiuto diventa, molto velocemente, assimilato al fallimento e alla perdita ed è vero che, sia all’interno che all’esterno, ci sentiamo definiti dal panorama nel quale ci muoviamo. Le nostre aree periferiche finiscono per vivere aspetti di degrado alimentati dallo spazio e dalla qualità dei luoghi. Avere molte aree degradate dentro di noi produce lo stesso senso di perdita di valore. Un senso di perdita di valore che finisce per diventare un insieme di opere incompiute per senso di inadeguatezza. La vergogna, poiché è un’emozione che è suscitata dallo sguardo dell’altro, ha sempre un luogo. È il fatto che l’altro giudica – o supponiamo che giudichi – che produce vergogna. Oggi il giudizio si è trasformato in uno sguardo ammirato che coglie la saggezza architettonica, l’industriosità nel pieno rispetto dell’habitat naturale, di uomini senza istruzione formale che hanno saputo costruite una città scultura in cui tutto si erge su un vuoto. Il vuoto delle grotte scavate nella zona del Sasso Caveoso. Il vuoto della Murgia che ci guarda dall’altra parte della Gravina.
La vergogna e il vuoto
Se la vergogna suscita il desiderio di nascondere, suscita anche un senso di vuoto. Come se scoprissimo, improvvisamente, che avremmo dovuto essere diversi, che c’è una mancanza che ci rende privi di valore. O una presenza che toglie valore. Non c’è cambiamento, dietro quello che ci suscita vergogna, senza stare davanti a quel vuoto, senza permettere che quel vuoto diventi un invito. Che dal quel vuoto e da quel silenzio nascano parole. Parole diverse.
Una parola sola, la più vera, può aprire in un istante cento corridoi nel cuore e nuove terre, e spiagge e sentieri, e quelle stagioni che per difendersi la memoria aveva chiuso a chiave. Edoardo Delle Donne, poeta materano
© Nicoletta Cinotti 2019