
Spesso nei miti il desiderio di conoscenza viene presentato come fonte di guai. Eva venne cacciata dal Paradiso perché la sua curiosità le fece rompere l’unica regola che le era stata data. Psiche si mise nei pasticci volendo conoscere il volto dell’amante durante il suo sonno. La moglie di Lot, con lui e le figlie, unici superstiti della distruzione di Sodoma, venne trasformata in una statua di sale perché non seppe resistere alla tentazione di guardarsi indietro. Insomma essere curiosi, ci viene detto, non è privo di pericoli. E chissà perché questa curiosità è tutta al femminile.
Dev’essere per questo che spesso abbiamo paura di guardare in profondità, paura di guardarci dentro come se questo potesse svelare qualche misterioso e orribile segreto. Vorrei tranquillizzare: non è così. L’inquietudine che si prova è dovuta al non sapere più che al conoscere e, soprattutto, quando si conosce davvero si realizza l’incontro tra la mente e il cuore. Conoscere solo con la mente lascia il nostro sapere povero e freddo, incapace di cambiarci. Conoscere solo con il cuore può travolgerci e renderci poco padroni delle nostre scelte. Nel momento in cui il cuore e la mente si incontrano quella conoscenza diventa dotata della saggezza e della potenzialità di trasformazione. Senza conoscenza, senza consapevolezza, il cambiamento è qualcosa che accade a nostra insaputa, che subiamo come una cacciata dal Paradiso. Eva come Psiche non erano consapevoli delle conseguenze delle loro azioni: erano solo curiose di una curiosità senza prospettiva.
Se siamo consapevoli il cambiamento è qualcosa che scegliamo anche senza sapere bene dove ci porterà. È interessante che la moglie di Lot, guardando indietro sia stata trasformata in una statua di sale: ci ricorda che per quanto forte sia stato il dolore, va lasciato indietro e bisogna proseguire, guardare avanti, guardare in prospettiva anche se questo significa guardare verso qualcosa che ancora non si è realizzato.(Bisogna anche aggiungere che il Dio del Vecchio Testamento non aveva ancora la misericordia del Vangelo e nemmeno tanto senso dell’umorismo).
Guardarsi indietro dà la certezza di vedere cose conosciute e forse è per questo che lo facciamo. Guardare avanti dà la forza della fiducia, la spinta del desiderio e l’apertura della vulnerabilità. È la vulnerabilità che ci spaventa ma senza vulnerabilità non c’è crescita.
Possedere la nostra storia può essere difficile ma non così difficile come passare la nostra vita da sconosciuti, estranei alla nostra stessa vita. Abbracciare la nostra vulnerabilità è pericoloso ma non pericoloso quanto rinunciare all’amore, all’appartenenza, alla gioia: le esperienze che ci rendono più vulnerabili. Solo quando saremo abbastanza coraggiosi da esplorare l’oscurità, scopriremo l’infinita forza della nostra luce. Brené Brown
Pratica del giorno: La classe del mattino
© Nicoletta Cinotti 2019 Vulnerabili guerrieri
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