
Quando entriamo nell’area dell’affetto possiamo rischiare diverse sfumature della parola amore. Possiamo diventare sentimentali, cinici, troppo dipendenti, troppo dominanti. perché l’amore è una parola che ha confini mobili e sensibili all’umore, al tempo (non solo a quello metereologico). È una parola che incolla e scolla pezzi dimenticati di storia, schegge di memoria, frammenti di ossa e pelle. Così per non sbagliarci apriamo la bocca e la riempiamo con questa parola tonda e morbida come uno strufolo, amore. Ci sembra di dire tutto ma davvero è solo con l’intimità che possiamo vederne il lato morbido e quello tagliente. Perché l’amore ha un lato tagliente e acuminato che possiamo conoscere solo da dentro, nell’intimità.
Quando poi questa parola la rivolgiamo a noi stessi, cosa significa davvero volerci bene? Ci facciamo tali e tanti brutti scherzi, inganni, scivoloni che guardarci con affetto e gentilezza significa attraversare la vergogna, l’imbarazzo e andare oltre a quell’amore narcisistico che abbiamo imparato guardandoci allo specchio. Se mi guardo allo specchio vedo con giudizio ironico pregi e difetti, segni e insulti. Se chiudo gli occhi e mi guardo con intimità mi accorgo che l’amore disegna dentro di me due strade che corrono parallele. Provo compassione per il dolore che ho conosciuto, ne sento il sapore amaro e la sorpresa. Per qualche ragione strana il dolore mi sorprende sempre come se fosse un imprevisto. Ho imparato a non mettere sale sopra le ferite e proprio scegliendo di non farlo ho capito che la compassione non basta. Che mi serve gentilezza, che mi serve quell’augurio e quella fiducia verso il futuro che la gentilezza amorevole porta con se e che è l’latra strada parallela alla compassione. Non è la cortesia di un trucco dell’anima o del corpo ben fatto. Non è la pietà immobile del botulino. Mi serve la gentilezza che mi fa dire che c’è in ogni momento, per quanto difficile, la possibilità di una fioritura. Così nell’autunno sogno la primavera, nella fine scorgo l’inizio. Questo è amore, questo è l’innamorarsi zen che accoglie quello che c’è così com’è perché sa che, davvero, ogni dolore nasconde una perla e che il meglio, il meglio deve ancora avvenire perché noi impariamo dopo, non prima. Non impariamo dopo perché siamo studenti ripetenti della scuola improvvisata dell’amore. Impariamo dopo perché non c’è la possibilità di sapere prima come andrà a finire. Lo sappiamo solo dopo aver pianto, lo sappiamo dopo che è successo quello che credevamo non sarebbe mai successo. Lo sappiamo solo così, con la scuola dell’amore che è sempre una scuola imprevista che ha una sola aula: l’intimità. Siamo tutti come Achille, umani grazie a un tallone.
L’acqua è insegnata dalla sete.
La terra, dagli oceani traversati.
La gioia, dal dolore.
La pace, dai racconti di battaglie.
L’amore, da un’impronta di memoria.
Gli uccelli, dalla neve. Emily Dickinson. Traduzione italiana di Margherita Guidacci
Pratica di mindfulness: La pratica di gentilezza
© Nicoletta Cinotti 2021
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