
Le misure della quarantena sono state annunciate a sera. Nel fine settimana, quando ormai molti di noi, seppur nell’incertezza, avevano programmi fatti. Programmi che sono stati lasciati sospesi o interrotti a metà. Questo può essere un particolare motivo di tensione perché, per ragioni mentali, noi tendiamo a ricordare di più le cose interrotte che quelle finite. La ragione è facilmente intuibile: è più importante ricordare qualcosa che dobbiamo finire piuttosto che qualcosa che abbiamo concluso, magari con soddisfazione. Così in questi giorni la nostra attenzione può venir letteralmente risucchiata da questi unfinished business e aggiungere allo stress un senso di impotenza. È per questo che il diario della gratitudine riveste una importanza particolare.
Perché la gratitudine è il sentimento che sorge quando prendiamo atto che qualcosa ha una sua rotondità e una sua presenza. Ci permette di coltivare la sensazione di appagamento, la sensazione di sazietà. Ci permette di dire, dentro e fuori di noi, “grazie”. Non intendendo grazie come un atto di cortesia ma come il sorgere spontaneo della gentilezza che nasce dall’appagamento. Così, proprio in questo momento in cui molte cose sono sospese, per controbilanciare l’attivazione che le cose sospese producono in noi, è importante fermarsi, due, tre, quattro volte al giorno, per cercare ciò che, invece, abbiamo concluso. Oppure ciò che non abbiamo ancora concluso ma che, proprio in questo momento, ci offre uno spiraglio di appagamento. Non sono le grandi cose quelle che entrano nel diario della gratitudine. Non sono i grandi eventi: sono quegli eventi piccoli, quotidiani, che illuminano ogni cosa. Il nostro gatto, il nostro cane. I nostri figli. La chiamata imprevista di un’amica. La consapevolezza che anche se più essenziale e basilare, la vita ha una sua bellezza. Il silenzio che diventa ascolto. Quella re-idratazione che facciamo perché, fermandoci, possiamo aver capito che stavamo correndo troppo.
Anche nel momento più difficile e oscuro, è la nostra capacità di riconoscere il buono che c’è che ci salva. E se lo riconosciamo provare gratitudine è un passaggio interiore spontaneo. Anche quello ci cura: cura il nostro senso della mancanza. Permette alla nostra vita di fiorire. Non ci fa dimenticare che fuori sta iniziando anche la primavera.
Basta così.
Queste poche parole bastano,
se non queste parole, questo respiro.
Se non questo respiro questo starmene qui seduto.
Questa apertura alla vita
che abbiamo rifiutato,
sempre e di nuovo.
Finora.
Finora. David Whyte
Pratica di mindfulness: Self compassion breathing oppure la pratica live su Facebook alle 8 a.m (rimane sulla pagina )
© Nicoletta Cinotti Back to basics 7